Divergenze Parallele
Che fare con Starlink? Botta e risposta con Bernabè e Quintarelli
Dalle interlocuzioni tra governo e la società di Musk ai possibili rischi per lo stato italiano e per il mercato mobile delle telecomunicazioni. Le opinioni dell'ex numero uno di Telecom Italia e dell'informatico
Questa è “Divergenze Parallele”, la rubrica curata da Lorenzo Borga. Ogni settimana ospitiamo due opinioni opposte, ma informate, su un tema chiave per capire la quotidianità. Perché – fuori dal mondo dei talk show e dei social – sugli argomenti di scontro si possono confrontare ragioni diverse, legittime e immuni da bufale.
Starlink per le comunicazioni governative sensibili, sì o no? Il tema al centro della settimana politica, secondo le opinioni di Franco Bernabè – manager di Stato di lungo corso e per due volte alla guida dell’ex monopolista Telecom Italia – e Stefano Quintarelli, informatico, imprenditore, già a capo del comitato di indirizzo dell’ Agenzia per l'Italia Digitale e parlamentare.
Come valuta le interlocuzioni in corso tra il governo e SpaceX per un eventuale servizio di connettività Starlink per ambasciate, forze armate e uffici governativi?
Franco Bernabé – Premetto che ad oggi ne sappiamo poco o niente, sui giornali leggo molte chiacchiere che secondo me hanno poco fondamento e che mi sorprendono molto. Già oggi i militari hanno i propri sistemi di crittografia – in Italia abbiamo le società più avanzate al mondo in questo settore – e anche i propri satelliti. Se è pur vero che i sistemi di telecomunicazione di Starlink e della sua divisione militare Starshield sono molto più avanzati dei nostri, francamente dubito che qualcuno voglia mettere in mano a uno straniero, qualsiasi cittadinanza abbia, le comunicazioni più riservate. Al più potremmo usare i satelliti di Musk per il solo servizio di trasporto dei dati, non certo per affidare a SpaceX la cifratura delle comunicazioni le cui chiavi devono rimanere in mano allo Stato italiano.
Stefano Quintarelli – Credo che i numeri di cui si sta discutendo siano assolutamente fuori scala. L’abbonamento Starlink per le navi oggi costa 3.500€ all’anno: con i 300 milioni annui di cui ha scritto Bloomberg potresti installare le antenne su 86mila imbarcazioni. E la nostra Marina militare certo non dispone di una tale flotta. Per l’impiego nell’intera Ucraina, Paese in guerra, il Pentagono paga Elon Musk 23 milioni di dollari. Riguardo invece al supporto sulla cifratura che potrebbe fornire Musk non capisco: chiunque oggi può garantire la sicurezza di una comunicazione, anche uno studente al primo anno di un istituto tecnico, il punto vero è chi ha in mano le chiavi della cifratura.
Affidarsi a Elon Musk può rappresentare un rischio per lo stato italiano?
Franco Bernabé – Non si può dipendere da un soggetto privato, nemmeno quotato, che ha i suoi obiettivi e i suoi vincoli e che agisce in base a considerazioni che non sono quelle della nostra sicurezza nazionale.
Stefano Quintarelli – Questo è un tema di sovranità. Di un soggetto come Elon Musk non ci si può fidare, a meno di non avere un rapporto saldo e diretto con chi guida gli Stati Uniti, gli unici che possono limitare il suo raggio d’azione. E con la futura amministrazione non vedo come questo sia possibile. Non vorrei che si ripetesse quanto accaduto in Ucraina, quando Musk spense la sua rete per evitare alcuni attacchi di Kiev contro obiettivi russi in Crimea. Detto ciò, non credo sia un dramma affidarsi a una società privata, il punto è: chi la comanda?
Ci sono alternative oggi a Starlink?
Franco Bernabè – Oggi evidentemente no. Quindi è chiaro il rischio di affidarsi a un monopolista, ma è anche vero che nel momento in cui entreranno nel mercato un secondo e un terzo operatore questo pericolo svanirà. La vera domanda da porsi è perché l’Europa ha perso il primato – che aveva – sulla tecnologia satellitare. L’Unione Europea ha deciso di lasciare appassire Eutelsat, che nasceva come organizzazione intergovernativa e ora controlla la stessa OneWeb. Questo è stato un grave errore strategico.
Stefano Quintarelli - Le alternative oggi non ci sono, ma arriveranno presto. Anche perché per offrire un servizio mirato agli apparati dello Stato non saranno richieste migliaia di satelliti in orbita bassa: ne basteranno alcune decine. E d’altronde questa infrastruttura è necessaria solo in alcuni casi particolari, penso all’impiego di droni comandati a distanza, non certo per l’invio quotidiano di piccoli pacchetti di dati che possono essere trasmessi anche con le attuali tecnologie.
E sul possibile impiego civile, per colmare i ritardi del Pnrr sul cablaggio alla fibra, cosa ne pensa?
Franco Bernabè – Credo abbia senso per il Governo puntare a connettere le cosiddette aree bianche a fallimento di mercato con una copertura satellitare. Zone che altrimenti non verrebbero mai cablate, perché assolutamente anti-economiche, sgravando per di più OpenFiber che penso avrebbe solo da guadagnarci. Ma temo che non si riuscirebbe a realizzare la gara, assegnare i contratti e terminare i lavori entro giugno 2026, rispettando il Pnrr. Se ne potrà riparlare quindi eventualmente per il periodo successivo e le aree remote che rimarranno escluse. Ma a quel punto potranno entrare in partita anche i concorrenti di Elon Musk, OneWeb e la società di Jeff Bezos, che nel frattempo potrebbero recuperare il ritardo.
Stefano Quintarelli – Su questo concordo con quanto detto dal sottosegretario Alessio Butti: questa tecnologia può avere senso solo ed esclusivamente nelle aree più remote. Ma parliamo del residuale del residuale. Non c’entra nulla con il Pnrr, che non può che finanziare la rete non certo l’abbonamento mensile a Starlink.
In un futuro prossimo, l’appetito di Elon Musk potrebbe allungarsi anche sul mercato mobile delle telecomunicazioni per offrire connettività agli smartphone, con il supporto di alcuni operatori tradizionali?
Franco Bernabè – Penso che per le telecomunicazioni sia un’opportunità, e allo stesso tempo un rischio. Un’opportunità perché in effetti risolverebbe i problemi di accessibilità di molte aree che oggi non sono coperte e che probabilmente non lo saranno neanche in futuro. Ma anche un rischio perché Elon Musk ambisce a diventare un operatore globale di telecomunicazioni. Come sta iniziando a fare negli Stati Uniti con T-Mobile e in Ucraina.
Stefano Quintarelli – Ritengo questo scenario comunque residuale. Delle 110 milioni di Sim operative oggi in Italia, quante avrebbero bisogno di questa tecnologia? Solo nelle aree periferiche dove non arriva il segnale e per usi estremamente specifici.