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Il colloquio

Starlink e il futuro delle tlc: niente paura. Parla il co-ceo di Wind Tre

Mariarosaria Marchesano

I satelliti di Musk possono “aiutare a garantire una copertura anche nelle zone più remote”, senza per forza fagocitare il business delle telecomunicazioni. Come si vede già all'estero, dove si sta andando verso un’integrazione dell’offerta telefonica in vari canali. Intervista a Gianluca Corti

“Mi sorprende il clamore intorno all’ipotesi di un rafforzamento in Italia di Starlink con la sua rete satellitare: potrebbe essere una soluzione per garantire una copertura in zone dove non arriva il segnale. E poi all’estero esistono già offerte integrate tra fisso, mobile e satellitare, perché non possiamo farlo anche in Italia?”: Gianluca Corti, co-Ceo di Wind Tre, spiega al Foglio che l’industria delle telecomunicazioni ha problemi più urgenti da affrontare, come quello di invertire la tendenza al calo degli investimenti sottolineato dal rapporto di Mario Draghi.

“L’utilizzo gratuito delle reti da parte dei colossi tecnologici: ecco che cosa non è più sostenibile per il sistema Italia che vanta tra i migliori servizi al mondo ai costi più bassi”, osserva Corti. Qualche settimana prima di Natale sembrava che la maggioranza di governo si fosse decisa a far pagare un contributo ai grandi generatori di traffico come Netflix e Dazn. Poi gli emendamenti che parlavano di “fair share” (una sorta di giusto pedaggio per l’uso delle autostrade di telecomunicazioni) sono scomparsi dall’orizzonte e il 2025 è cominciato con la prospettiva che l’arrivo dei satelliti di Elon Musk possa scompaginare gli equilibri del settore tlc. Che ne pensa? “Mi pare un falso problema: in Italia esiste un quadro di regole preciso: le società operano dopo essersi aggiudicate le aste per l’uso delle frequenze da cui lo stato incassa svariati miliardi. Vero è, però, che Starlink potrebbe aiutare a garantire una copertura anche nelle zone più remote, anche se non è l’unica società a offrire la tecnologia satellitare”.

 

                       

Non teme che i satelliti possano fagocitare tutto il business delle tlc? “Guardando a quello che succede all’estero, dalla Cina agli Stati Uniti ad alcuni paesi europei, mi pare si stia andando verso un’integrazione dell’offerta telefonica nei vari canali. In futuro, chi possiede una barca e vorrà andare per mare potrà automaticamente passare dal 5G al satellite per continuare a ricevere il segnale. Per adesso, l’industria delle tlc è concentrata sulla necessità di recuperare un livello di investimenti che negli ultimi anni è drasticamente diminuito”. Di quanto? “Direi del 25 per cento rispetto agli anni della pandemia, quando il cambio degli stili di vita ha spinto sempre più persone a usufruire di contenuti a pagamento: i gruppi che producono questi contenuti hanno moltiplicato i fatturati e le società di telecomunicazioni si sono fatti carico delle spese per adeguare le reti. Solo per fare un esempio, un film in 4K occupa tre volte la banda di un film in Hd, ma siamo noi a costruire tubi più capienti e avanzati”.

Che cosa propone? “Le soluzioni possibili sono diverse, compresa quella adottata negli Usa di accordi tra privati, ma andrebbe bene anche se ci fosse una supervisione pubblica con un fondo dedicato al miglioramento tecnologico al quale i vari operatori possono attingere. L’importante è fare qualcosa. Al momento, il settore sta beneficiando anche del sostegno del Pnrr che, però, ha una durata limitata”. La bassa marginalità delle tlc è anche dovuta all’elevata concorrenza, vista da sempre di buon occhio dalle autorità europee, non crede? “In effetti, l’idea con cui si è sempre mossa l’Antitrust Ue è stata quella di favorire la massima diffusione di internet mantenendo i prezzi bassi. Ma mi pare sia aumentata la consapevolezza che questo non abbia favorito il mantenimento dell’efficienza nei servizi mettendo a rischio la competitività. Perciò, siamo fiduciosi nel fatto che l’orientamento della nuova Commissione Ue sia di favorire il recupero della redditività anche non mostrandosi ostile verso le aggregazioni tra operatori com’è accaduto finora”.

Vede già segnali di un cambiamento? “E’ presto per dirlo, ma me lo auguro e operazioni come Fastweb-Vodafone sono la spia che qualcosa si sta muovendo. Avere cinque operatori in un paese, com’è stato fino ad oggi in Italia, rappresenta un’anomalia”. Wind Tre può essere protagonista del consolidamento? “Considerando che la nostra realtà nasce proprio da un’aggregazione, direi che abbiamo già dato, ma sì credo che una maggiore concentrazione sia auspicabile in Italia e in Europa”. Come vede Wind Tre tra qualche anno? “Saremo sempre di più un’azienda multiservice grazie alla crescita diversificata che stiamo attuando con l’ingresso nella distribuzione di luce e gas. Intanto, a giugno di quest’anno saremo la prima compagnia ad avere una rete 5G stand alone, vale a dire indipendente e tecnologicamente avanzata con una percentuale di copertura pressoché totale”.

 

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