L'editoriale del direttore
Ita, Tim, spread, privatizzazioni, banche. Il sovranismo di Meloni alla prova della realtà
In questi due anni e mezzo di governo, le migliori scelte di carattere economico la premier le ha fatte andando a capovolgere e a stravolgere le sue convinzioni. Puntini da unire, con qualche sorpresa
Due anni e mezzo dopo la domanda è lecita: che cosa resta del sovranismo di Meloni? La settimana che si è aperta ieri metterà di fronte ai pensieri del centrodestra italiano un dato di fatto ormai difficile da negare. Il dato di fatto è quello che si indovina mettendo insieme alcuni puntini che costituiscono anche i principali successi che il governo ha incassato in questi mesi sul fronte economico. Il primo è quello che coincide con il completamento dell’operazione Ita, la cui vendita a Lufthansa dovrebbe diventare definitiva nella giornata di domani, e l’operazione in questione è paradigmatica di una svolta compiuta, da parte della premier, non solo perché fino a tre anni fa Meloni era convinta che fosse necessario non vendere a Lufthansa (2021, governo Draghi) ma anche perché la vendita della società erede della compagnia di bandiera italiana alla compagnia di bandiera tedesca è lì che smentisce anni di sciocca retorica sovranista della stessa Meloni. Per contrastare il sovranismo, dunque, il modo migliore è affidarsi un po’ meno allo stato e un po’ più al mercato e la stessa logica Meloni in questi mesi l’ha seguita, smentendo se stessa, anche su altre partite importanti. Su Tim, per esempio, la storia è nota e anche qui il sovranismo di Meloni, grazie al cielo, si è liquefatto come neve al sole nel momento in cui la presidente del Consiglio, il cui partito un tempo sosteneva la necessità di nazionalizzare Tim, si è ritrovata a scegliere cosa fare di fronte all’offerta sulla rete di Tim di un fondo di investimento americano (Kkr), e per fortuna la scelta di Meloni, anche qui, è andata contro l’istinto statalista (e nazionalizzatore) e a favore della scelta mercatista (e anti populista).
In questi due anni e mezzo di governo, le migliori scelte di carattere economico Meloni le ha fatte andando a capovolgere e a stravolgere le sue convinzioni (e lo stesso si può dire anche ragionando su altri fronti, come per esempio le pensioni e come per esempio la spesa pubblica, fronti sui quali il melonismo di governo ha operato in modo molto diverso dal melonismo di lotta). E lo stesso successo in termini di credibilità della maggioranza di centrodestra è direttamente legato ad alcuni indici che nel passato il centrodestra ha sempre sovranisticamente snobbato specie quando era all’opposizione. Da sovranista, per dire, la Meloni d’opposizione non ha mai considerato lo spread, il differenziale fra titoli di stato italiani e tedeschi, come un termometro per misurare l’affidabilità di un paese, e ora invece sì e abbassarlo il più possibile è diventato un punto centrale del programma di governo. Nei prossimi mesi, l’anti sovranismo economico di Meloni, se davvero si presenterà ancora come tale, sarà possibile monitorarlo su altre due partite.
La prima riguarda il dossier sulle privatizzazioni, tema da sempre detestato dalla Giorgia di lotta e ora invece considerato prioritario dalla Meloni di governo. Nella legge di Stabilità del 2024, il governo ha promesso di ricavare venti miliardi entro il 2026 dalla vendita di quote di Enav, dalla vendita di una piccola quota di Eni, dalla privatizzazione totale di Ferrovie dello stato, dalla vendita di una parte delle quote di Poste (due dossier questi ultimi che sembrano essere spariti dall’agenda delle priorità del governo) e dalla privatizzazione totale di Mps (banca che la destra sovranista in passato voleva mantenere nazionale).
Ed è proprio sulle banche, se possibile, che la destra meloniana è stata costretta a fare i conti in modo traumatico con i rischi del sovranismo, in particolare quando il governo tedesco mostrando i suoi muscoli sovranisti ha cercato di respingere l’operazione di Unicredit in Germania su Commerzbank spingendo la banca guidata da Andrea Orcel a puntare un’altra preda in Italia (Banco Bpm) e andando così a scombussolare i piani del Mef che aveva promesso Mps a una cordata guidata proprio da Bpm (cosa che forse non sarebbe successa se il sovranismo tedesco fosse stato disinnescato politicamente dal governo italiano). Fino a oggi, dunque, i successi del governo Meloni, in ambito economico, sono sempre arrivati laddove il governo è riuscito a fare l’opposto rispetto a quanto aveva promesso in campagna elettorale. E nell’attesa di capire cosa farà il governo sull’Opa lanciata da Unicredit su Bpm (sorprese in vista), il risultato è che l’unico sovranismo che Meloni ha scelto di coccolare nei suoi primi due anni e mezzo di governo è una forma di sovranismo che i sovranismi hanno sempre respinto e rinnegato: proteggere gli stati non scommettendo sull’isolazionismo sovranista ma scommettendo su piccole cessioni di sovranità, come per esempio è il Pnrr. I sovranisti anti sovranisti sono uno spettacolo. Il tempo ci dirà se le scelte salvifiche di Meloni sono una svolta strategica o solo un algoritmo passeggero destinato a subire l’influenza tossica del nuovo corso americano. Dita incrociate e anche qui lunga vita all’incoerenza meloniana.
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