crisi dei titoli di stato
La tensione sul debito del Regno Unito è un problema occidentale
Nelle ultime settimane i rendimenti delle obbligazioni sovrane inglesi hanno raggiunto il massimo dalla crisi finanziaria del 2008. "La tempesta riguarda quasi tutti i titoli di stato occidentali", spiega l'economista Riccardo Trezzi
La svendita dei titoli di stato britannici, che ha messo sotto pressione il governo di Keir Starmer, non è un caso isolato e, al momento, appare azzardato paragonare il ritorno di un certo scetticismo tra gli investitori con la bufera che due anni fa travolse l’esecutivo conservatore di Liz Truss. Di certo, nelle ultime settimane la sterlina è crollata e i rendimenti dei gilt, le obbligazioni sovrane inglesi, hanno raggiunto il massimo dalla crisi finanziaria del 2008, ma, come spiega al Foglio Riccardo Trezzi, economista e consulente di fondi d’investimento internazionali, “la tempesta riguarda quasi tutti i titoli di stato occidentali, a partire da quelli americani per finire con le obbligazioni francesi e tedesche in Europa”. E l’Italia? “Se la cava perché lo spread tra btp e bund è solo in lieve rialzo, grazie alle politiche fiscali prudenti messe in atto dal governo Meloni. Ma il rammarico è che il paese avrebbe potuto fare di più per migliorare il suo deficit strutturale e non lo ha fatto, o meglio, non ha potuto farlo dovendo contabilizzare i crediti del Superbonus”.
Di fatto, però, se c’è una tempesta sul mercato obbligazionario, l’Italia non si trova nel suo epicentro, ma in un angolo dove la pioggia delle vendite da parte degli operatori batte meno, anche se da fine 2024 a oggi il differenziale btp-bund è aumentato di una quindicina di punti base, salendo a quota 124, che vuol dire un aumento, per adesso contenuto, del costo per gli interessi sul debito pubblico. Paradossalmente è in Francia e in Germania che in questa fase si stanno sperimentando le maggiori pressioni sui titoli di stato, amplificate da crisi politiche e prospettive elettorali, mentre nel Regno Unito i rendimenti delle obbligazioni sono arrivare al 4,8 per cento per le decennali e al 5,5 per cento quelle trentennali, livelli considerati tanto allarmanti da fare osservare a un media come Politico che non è Elon Musk il peggior incubo di Starmer.
“Ogni paese ha la sua storia – prosegue Trezzi – ma c’è un filo conduttore che accomuna tutti: i mercati sono tornati a essere scettici sulle politiche fiscali dei governi occidentali e adesso temono che un ritorno dell’inflazione, per via dei dazi di Trump, indurrà le banche centrali a tagliare i tassi meno del previsto”. In altre parole, la prospettiva di un costo del denaro più abbordabile a cui sarebbe seguita una ripresa dell’economia ha fatto per un un po’ dimenticare agli investitori il tema della sostenibilità del debito in rapporto alla crescita. Poi lo spettro dell’inflazione si è riaffacciato e la Gran Bretagna sta sperimentando il suo tallone d’Achille, come spiega la banca d’affari Bofa in una ricerca. Per quanto le turbolenze siano di tipo globale, il movimento dei rendimenti britannici “evidenzia la fragilità della posizione fiscale nel Regno Unito”, osserva Bofa secondo cui non si può dire ancora che il peggio sia alle spalle perché il governo Starmer darà maggiori chiarimenti su come intende muoversi sul fronte di tasse e spesa pubblica nelle sue previsioni di marzo. “La Gran Bretagna risente di fragilità economiche strutturali riconducibili alla Brexit – prosegue Trezzi –. E credo che solo un consolidamento fiscale, vale a dire aumento delle tasse, riduzione della spesa o un mix delle due, possa davvero tranquillizzare i mercati, ma devo dire che a preoccuparmi di più è quello che succede fuori dall’Europa, negli Stati Uniti, dove i rendimenti sovrani stanno sfiorando il 5 per cento e di rigore fiscale ancora non si parla. Vedremo cosa succederà quando si insedierà l’amministrazione Trump, se il Congresso avrà la forza di porre la questione. Del resto, in America l’inflazione resta su livelli più sostenuti dell’Europa ed è già abbastanza chiaro che la Fed non taglierà più i tassi”. Questo vuol dire che la Bce ha più margine per agire? “Penso di sì, ma il sentiment sta cambiando”.
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