risparmi chi può
Perché il Mef vuole un decreto per ampliare i poteri del golden power. Attenzione su Unicredit e Natixis
L'obiettivo del ministero dell'economia è ostacolare le due fusioni, che a giudizio del Mef potrebbero avere ripercussioni sul risparmio italiano
Il ministero dell’Economia e delle Finanze è al lavoro per preparare un decreto che ampli i poteri speciali del governo (golden power) alle banche. E’ questa la mossa (che dovrà superare le resistenze di Palazzo Chigi e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano) per ostacolare due operazioni finanziarie condotte da soggetti considerati lontani politicamente, se non proprio ostili, e sostanzialmente anti nazionali, anche nei casi in cui vestono panni italiani. La prima è l’offerta pubblica di scambio (Opas) lanciata dall’Unicredit guidata da Andrea Orcel su Banco Bpm gestito da Giuseppe Castagna; la seconda è l’accordo tra Assicurazioni Generali e la banca francese Natixis che gestisce patrimoni. Quando uscirà, se uscirà, vedremo come sarà argomentato formalmente il Dpcm, tuttavia la questione che accomuna entrambe le operazioni è la difesa del risparmio italiano. Il timore è che venga risucchiato verso altri lidi, come l’odiatamata Parigi, anche se in realtà la maggior parte degli impieghi attraverso i fondi o le banche italiane finiscono negli Stati Uniti perché alla fine della fiera il rendimento conta più della bandiera. Il golden power è stato introdotto nel 2012 e riguardava cinque settori (difesa, sicurezza nazionale, energia, trasporti e comunicazioni), poi via via è stato esteso a quasi tutta l’attività economica, anche alla finanza nel 2021 avendo però nel mirino soprattutto la fintech. E’ frutto del nuovo Zeigeist protezionista, ma è vero che il risparmio italiano verrebbe messo in pericolo? Prendiamo Unicredit-Bpm. Il governo è convinto che l’Opas di Orcel abbia come obiettivo e non solo come effetto secondario, di scompaginare il terzo polo bancario che dovrebbe nascere con Banco Bpm e Mps. Vendere l’ultima tranche della banca senese è una necessità del Tesoro e Giancarlo Giorgetti ha trovato l’acquirente ideale nella milanese ex Banca popolare. Poi si sono aggiunti Francesco Milleri e Francesco Gaetano Caltagirone diventati azionisti rilevanti di Mps su sollecitazione del Mef, coordinandosi con Palazzo Chigi. La gestione del risparmio è al cuore anche dell’operazione Bpm perché coinvolge la società Anima (controllata dalla banca milanese più Poste e Caltagirone) la quale ha comprato il 3 per cento di Mps.
Il timore è che i 204 miliardi di euro amministrati finiscano nei duemila e 192 miliardi gestiti da Amundi, dieci volte più grande e numero uno in Europa, che ha un accordo importante con Unicredit dal quale nel 2016 ha comprato la controllata Pioneer. L’accordo tra Generali e Natixis darebbe vita a una piattaforma comune nella quale confluiranno asset per 650 miliardi di euro da Generali e 1.200 miliardi dal gruppo francese. La governance dovrebbe essere alla pari, ma attualmente il primo amministratore delegato sarebbe il ceo di Generali Investments Holding, l’americano Woody Bradford (ex amministratore delegato di Conning Holding, la società rilevata da Generali nell’aprile 2024). Dopo cinque anni scatta l’alternanza a meno che non vengano raggiunti obiettivi tali da giustificare una proroga.
Quali sono le logiche industriali delle due iniziative? Per la prima si tratta di scegliere se è preferibile far nascere un polo finanziario di peso locale, con una banca ancora fragile come Mps, oppure lasciare che Unicredit cresca anche sul territorio italiano (dove primeggia Intesa) per diventare più forte sul mercato internazionale. Insieme Unicredit e Bpm potrebbero sfiorare una capitalizzazione di 80 miliardi di euro diventando la prima banca nell’Eurolandia e la terza in Europa. Ancor più se si unisse la Commerzbank della quale Unicredit possiede quasi il 30 per cento. In Germania si è scatenata una forte opposizione politica ed è sceso in campo a sostegno del germanesimo bancario anche Jens Weidmann, ex falco della Bce oggi presidente del consiglio degli azionisti Commerzbank. Visione miope per chi, come Mario Draghi nel suo rapporto, non cessa di sottolineare che JP Morgan da sola è più grande di tutte le più grandi d’Europa. Nelle banche un po’ come nelle industrie di massa la quota di mercato riduce i costi, la taglia conta per aumentare l’efficienza. Il discorso cambia nell’asset management. Qui è fondamentale la qualità e la gamma dei prodotti offerti. Nel caso Natixis, se si vuol usare un parametro non soltanto politico, la domanda che si pongono al Mef è: l’operazione aggiunge valore a Generali o fa solo massa? E la sovranità del risparmio che confini ha? Il dibattito è aperto ed è importante. Ma nell’interesse delle compagnie e della nazione, forse, sarebbe il caso di pensarci due volte prima di trasformare il golden power in uno strumento più politico che industriale.
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