L'Italia tra i primi nello spazio
Gioca un ruolo di punta nella space economy e gira intorno alla Terra con i suoi astronauti. Ma l’Europa ha perso molte occasioni. Intanto Musk occupa la bassa quota e le telecomunicazioni. Cosa fare per non restare indietro
Alla Nasa lo chiamano il “Crocco Gran Tour” ed è il contributo fondamentale di uno scienziato italiano ai viaggi spaziali. Di che si tratta? Il fisico Gaetano Crocco (nato a Napoli nel 1877 e morto nel 1968) è stato un vero e proprio visionario, tra i primi a proporre un razzo a stadi paralleli come i “booster” utilizzati dallo Space Shuttle e da altri vettori più moderni. Ma il suo apporto più importante è sicuramente lo studio della “fionda gravitazionale”, un sistema per accelerare le sonde spaziali sfruttando la gravità dei pianeti accanto ai quali si trovano a passare, il che permette di raggiungere velocità e distanze altrimenti impensabili. Nel 1956 pubblica un articolo intitolato Giro esplorativo di un anno Terra-Marte-Venere-Terra e propone proprio una traiettoria estremamente vantaggiosa. Il sistema della fionda è stato utilizzato nel 1959 dalla sonda sovietica Luna 3 e dagli americani per Pioneer 10 che nel 1973 ha sorvolato Giove. Non c’è film fantascientifico in cui manchi una illustrazione dell’effetto fionda con tanto di lavagna. L’Italia spaziale, dunque, ha un lungo e ricco passato. Oggi è al terzo posto in Europa e al settimo su scala mondiale, gioca un ruolo di punta in quella che si chiama la space economy, gira intorno alla Terra con i suoi astronauti. Ma avrebbe potuto fare di più. Spiegare perché non è successo merita un’indagine approfondita, per ora accontentiamoci di questo racconto “a bassa quota”.
Gli scienziati visionari Crocco, Costanzi e Gussalli, e il padre dell’Italia spaziale Luigi Broglio: progettò il lancio del San Marco 1
Quando lancia il primo satellite fatto in casa, l’Italia ha alle spalle un lavoro che dura già da decenni. Pioniere nello studio dei viaggi spaziali è stato nel 1914 Giulio Costanzi (nato a Roma nel 1875 e morto nel 1965). Ingegnere e ufficiale dell’Aeronautica, pubblicò sul periodico AER un pezzo dal titolo Per uscire dal Pianeta, anticipando idee che caratterizzeranno poi la corsa allo spazio, come l’analisi delle fonti di energia da utilizzare per la propulsione, tra queste l’energia atomica, oltre ad ipotizzare le problematiche fisiche e mediche che i futuri astronauti si troveranno ad affrontare, come temperatura, radiazioni, accelerazioni, e infine assenza di peso. Luigi Gussalli, nato a Bologna 1885 e morto nel 1950, si interessò ai viaggi spaziali con intuizioni allora innovative. Nel 1923 scrisse Si può tentare un viaggio dalla Terra alla Luna?, nel 1941 Propulsori a reazione per l’astronautica, e infine nel 1946, appena finita la Seconda guerra mondiale, I viaggi interplanetari per mezzo delle radiazioni solari, in cui ipotizzava tra i primi l’utilizzo dell’energia solare come fonte. Gaetano Crocco ha lasciato al figlio Luigi la sua stessa passione: ingegnere, si è specializzato nello studio della combustione nella propulsione a razzo.
Anche se non sono epigoni di Jules Verne, si tratta pur sempre di geniali studiosi. Il vero padre dell’Italia spaziale, invece, è Luigi Broglio, nato nel 1911 a Mestre, ma piemontese, morto nel 2001 a Roma. Laureato in ingegneria civile alla Sapienza, nel 1937 entra in aeronautica come ufficiale ingegnere. Dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla guerra di liberazione nei partigiani bianchi (cattolico-popolari) guidati da Paolo Emilio Taviani. Poi si dedica all’insegnamento, ma i suoi studi pionieristici sul calcolo strutturale lo portano negli Stati Uniti dove comincia a collaborare con l’aeronautica militare americana e poi con il Naca (National Advisory Committee for Aeronautics) fondato nel 1947, che lavorava sugli aerei supersonici e sui satelliti. È l’Unione sovietica a vincere la prima battaglia nella guerra dei cieli: nel 1957 il lancio dello Sputnik semina sconforto negli Stati Uniti che però danno un colpo di acceleratore ai loro sforzi scientifici e finanziari. Il presidente Eisenhower nel 1958 battezza la Nasa (National Aeronautics and Space Administration) e lancia il progetto Mercury per l’uomo nello spazio. E’ sempre Mosca ad arrivare in testa con Yuri Gagarin il 12 aprile 1961, ma il 5 maggio Alan Shepard viene lanciato in un solo suborbitale e il 20 febbraio dell’anno successivo John Glenn completa per la prima volta tre orbite.
L’Italia vuol essere della partita, anche se lo stesso Eisenhower non vede di buon occhio la partecipazione di quello che resta un paese sconfitto come Germania e Giappone. Tuttavia, la collaborazione scientifica con la Nasa apre molte porte. Broglio riesce a far lavorare un team italiano dentro l’agenzia americana e grazie anche a questo il 15 dicembre 1964 parte, dalla base americana di Wallop in Virginia, il San Marco uno il cui scopo era fornire dati sulla densità atmosferica e la ionosfera terrestre. Da allora l’Italia ha sviluppato una particolare competenza proprio nell’analisi dell’atmosfera e nell’osservazione della Terra, ma non s’è mai occupata dello spazio come “spazio di mercato”. I vantaggi tecnologici e scientifici che il paese aveva accumulato sono rimasti in una dimensione “alta”, talvolta astratta. Sono state di fatto trascurate le orbite più basse, tra duecento e duemila chilometri dove si è lanciato Elon Musk. Un grave buco, un clamoroso errore che non è solo italiano, ma europeo, sia detto come aggravante e non come scusa.
Niente trattati internazionali, spiega Franco Bernabè, lo spazio extra atmosferico è “un luogo da squatter, il primo che arriva lo occupa”
Non esiste un vero trattato internazionale, spiega al Foglio Franco Bernabè, già amministratore delegato di Telecom Italia e presidente della Gsma, l’associazione internazionale degli operatori della telefonia mobile. Gli Usa non lo hanno mai voluto, l’Europa ha sempre seguito un approccio scientifico ma non economico. Lo spazio extra atmosferico è “un luogo da squatter, il primo che arriva lo occupa”. Così ha fatto Musk; s’è mosso con grande determinazione e abilità, ha capito che bisognava risparmiare sui costi dei lanci e mandare in orbita piccoli satelliti dall’uso molto flessibile. E non si ferma, fra poco il traffico satellitare provocherà un gigantesco ingorgo.
Protagonista della space economy è Leonardo, la società nata dalla ex Finmeccanica, che sviluppa e gestisce, direttamente o insieme alla francese Thales, sistemi satellitari, dati trasmessi, sistemi di osservazione della Terra e di navigazione. E’ in cima a una filiera complessa. In Lombardia c’è OHB Italia, erede di Carlo Gavazzi Space e ora parte del gruppo Tedesco OHB; in Piemonte ALTEC, società partecipata dall’Agenzia Spaziale Italiana e Thales Alenia Space; nel Lazio, Space Engineering, ora Airbus Italia; in Campania le imprese del Consorzio ALI, lo stabilimento AVIO specializzato nei materiali pre-impregnati in fibra di carbonio, utilizzati per gli involucri del lanciatore Vega, e ancora Sab Aerospace, con i suoi servizi meccanici innovativi per programmi spaziali; in Puglia, SITAEL specializzata sui piccoli e micro satelliti. Guidati dal Cluster Tecnologico Nazionale Aerospazio (CTNA) sono ben dodici i distretti regionali italiani dedicati allo spazio. Per realizzare il programma nazionale Mirror GovSatCom (un sistema capace di consentire comunicazioni sicure ed affidabili, per usi istituzionali e commerciali) si è formato un partenariato tra Thales Alenia Space Italia, Telespazio, Leonardo, Sitael e Airbus Italia, che ha coinvolto nella filiera 43 imprese di 12 regioni diverse.
Copernicus è il programma dell’Unione europea per sfruttare i dati che provengono dall’osservazione della Terra. L’Italia ha una funzione importante nel sistema europeo Galileo, basato su 30 satelliti in orbita terrestre. Nasce dalla volontà di sviluppare un proprio sistema di navigazione e posizionamento satellitare (GNSS - Global Navigation Satellite System), autonomo rispetto al monopolio statunitense. Il programma nazionale Mirror Galileo punta a migliorare la posizione italiana. Nei servizi forniti da Galileo rientra l’infrastruttura Public Regulated Service (PRS), unicamente destinata a entità governative o organizzazioni internazionali. Il PRS consente di supportare servizi strategici anche in situazioni di crisi nelle quali altri servizi di navigazione satellitare potrebbero non garantire la massima affidabilità. Entrando a fare parte dei sistemi di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Capitanerie di Porto e Difesa, il PRS diventa la principale tecnologia di navigazione satellitare che sostiene la sicurezza nazionale. Quattro anni fa, l’Asi e il ministero della Difesa hanno lanciato COSMO-SkyMed, la prima missione concepita per scopi duali, civili e militari. Si basa su una costellazione di satelliti dotati di radar che lavorano in banda X (in grado, quindi, di vedere attraverso le nuvole e in assenza di luce solare). Il 18 gennaio 2021 il primo di quattro nuovi satelliti previsti è andato ad affiancare i quattro di prima generazione. Ma c’è sempre bisogno della Terra e qui interviene Telespazio, uno dei principali operatori mondiali che nel “teleporto” del Fucino, ha il Centro di Controllo della costellazione Cosmo Skymed e di Galileo. Inoltre al Fucino sono gestiti i servizi di trasporto e distribuzione del segnale per i maggiori broadcaster nazionali e internazionali e la diffusione diretta via satellite di segnali radiotelevisivi; immagini e dati che vengono poi elaborati tramite applicazioni sviluppate in larga parte da E-GEOS, società partecipata dall’Agenzia Spaziale Italiana e da Telespazio che acquisisce, elabora, archivia e distribuisce servizi per numerose applicazioni di mercato, dai trasporti all’agricoltura. Che cosa offre di più e di meglio il sistema Musk?
Starlink ha quattro milioni di abbonati nel mondo, di cui appena cinquantamila in Italia, l’obiettivo è proprio aumentarli, anche in un mercato molto affollato. Oggi costa 29 euro al mese più 225 euro per il kit, ripetitore e parabola da installare all’esterno, non è garantita nessuna assistenza. Utilizza satelliti che girano a bassa quota (550 chilometri) meno costosi di quelli che l’Italia ha messo in orbita geo-stazionaria. Fondamentale per calcolare l’efficienza del sistema è la latenza. Fino a 30 millisecondi siamo in una situazione ottimale; il 5G ha un ritardo di appena 20 millisecondi; le reti mobili oggi esistenti vanno tra i 100 e i 140, con le zone rurali che peggiorano nettamente la media; con il satellite siamo a 500 millisecondi; Musk promette miracoli, tuttavia c’è ancora un ampio gap da riempire prima di ricevere il segnale. Starlink manda in orbita satelliti sempre nuovi, leggeri e potenti che vengono spostati di volta in volta a seconda di come si evolve la domanda. Musk cerca di allargare il più possibile la fascia di copertura perché il singolo cono di illuminazione è limitato, composto da satelliti che girano in continuazione, la comunicazione deve passare dall’uno all’altro, mentre più ci si allontana, più perde potenza il segnale. I satelliti possono essere spostati in funzione della richiesta di connettività, il loro carburante viene utilizzato per direzionare i satelliti finché non si esaurisce. Poi intervengono gli spazzini spaziali.
Il satellite ha bisogno delle stazioni a terra e questo è il nuovo campo di battaglia. Musk ha tre stazioni in Italia che può diventare il suo hub
Musk sfida i tradizionali operatori di telecomunicazioni che ormai hanno raggiunto il tetto massimo della loro espansione e non hanno capito fino a che punto internet avrebbe aperto scenari del tutto nuovi (si pensi a come Whatsapp ha monopolizzato il mercato della voce), sottolinea Bernabè. Tuttavia il satellite ha bisogno delle stazioni a terra e questo è il nuovo campo di battaglia. Per parlare tra un telefono satellitare e un normale cellulare bisogna passare da un punto di scambio terrestre. Musk aveva una stazione in Svizzera, ora ne ha tre in Italia che può diventare il suo hub per il ricco e affollato mercato europeo. Perché Starlink è fondamentale nelle giungle e nei deserti africani o in mezzo agli oceani, come si suol dire, ma i profitti si fanno nell’America del Nord e in Europa. L’obiettivo dell’imprenditore sudafricano è usare le frequenze di cui dispone per servire direttamente i telefonini. I cellulari diventano la stazione a terra e il servizio si trasforma in dual use: sarà possibile avere un contratto, ad esempio, con Tim ma quando ci si trova fuori copertura si avrà un contratto con Starlink. Se poi si usano frequenze 5G e il cellulare parla direttamente col satellite, allora si fa un salto di qualità. Ci sono già rapporti con Telespazio per allargare la copertura oggi ancora limitata. Bisognerà fare un’asta, ma concretamente parteciperebbero solo Musk e Eutelsat che fa capo all’inglese OneWeb la quale ha 600 satelliti, mentre Starlink ne possiede almeno dieci volte tanto. Amazon è ancora in ritardo.
Molti operatori tradizionali non si sentono minacciati perché Starlink non è competitivo con 5G e fibra ottica. E’ vero, ma fino a quando?
Un esempio delle occasioni perdute viene proprio da Eutelsat (ora in lite con Tim tanto che la connessione satellitare è bloccata). Nasce a Parigi nel 1976 come organismo intergovernativo e Telespazio ne prende la concessione esclusiva per l’Italia. Nel 2001 viene privatizzata, entrano la spagnola Abertis (quella di Florentino Perez, delle autostrade e del Real Madrid) con la francese CDC e altri azionisti minori. Nel 2023 si fonde con il gruppo anglo-americano OneWeb del quale sono azionisti gli indiani di Bharti, i francesi di Eutelsat, il governo britannico, la giapponese Softbank. Dieci anni fa la compagnia europea poteva tenere testa a Musk, oggi può solo inseguire. Molti operatori tradizionali non si sentono minacciati direttamente perché Starlink, sia pur migliore di altri sistemi satellitari, non è competitivo con il 5G e con la rete terrestre (soprattutto quella in fibra ottica). Basta guardare in tv le interviste via satellite e confrontarle con i collegamenti via internet. È vero, ma fino a quando? Il satellitare oggi serve soprattutto per scopi militari o comunque riservati, dunque Starlink spiazzerebbe il PRS di Galileo e Cosmo SkyMed? Il progetto europeo Iris che sfida Musk sul suo stesso terreno è in ritardo, ma nasce già morto? La questione chiave per la sicurezza pubblica e privata è chi controlla il linguaggio, la crittografia, i dati. E chi decide se, come, dove e quando interrompere la connessione. Sarà, vedi quel che è successo in Ucraina e Taiwan, il ketaminico Elon al quale è negato accedere alle informazioni segrete? O consegnerà le chiavi, come alla fine ha fatto, al Pentagono? Siamo andati dalla Terra alla Luna e discesi di nuovo sulla Terra. Aspettando risposte.