Massimiliano Giansanti (foto LaPresse)

Lobby anti-agricola

“L'Europa faccia chiarezza sui soldi elargiti alle Ong green”. Parla Giansanti (Confagricoltura)

Luciano Capone

“Nell'Unione europea c’è un cambio di passo sull’agricoltura dopo il Green deal, ma servono i fatti”, ci dice il presidente del Copa, l’organizzazione che unisce le associazioni degli agricoltori in Europa

“Personalmente non sospettavo nulla del genere. Ho sempre avuto fiducia nelle istituzioni e arrivare a scoprire queste cose suscita stupore e sconcerto. La Commissione europea deve fare chiarezza nel minor tempo possibile”. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura e presidente del Copa, l’organizzazione che unisce le associazioni degli agricoltori in Europa, è incredulo e amareggiato per il cosiddetto scandalo della “lobby green”, ovvero le rivelazioni del giornale olandese De Telegraaf sui fondi della Commissione Ue elargiti a Ong ecologiste per influenzare e fare pressione sugli europarlamentari a favore del Green Deal e dell’agenda dell’allora commissario Frans Timmermans. “Non riesco a credere – dice Giansanti – che le istituzioni, con cui ci riunivamo in buona fede, ci contrastassero con questi metodi.

 

Ma quindi voi associazioni degli agricoltori non avevate nessun sospetto? “No, nessun sospetto – dice il presidente degli agricoltori europei – anche perché è davvero inimmaginabile che in un dibattito così importante come quello sulla sostenibilità e la competitività della produzione agricola si arrivi a portare avanti in questo modo certe posizioni politiche. Il danno più grande è la perdita di fiducia nelle istituzioni europee, che per questo devono essere trasparenti su ciò che è accaduto”. La Commissione ha detto che tutto è stato fatto in maniera legale, secondo le regole del programma Life, ma ha ammesso che è stato “inopportuno” sottoscrivere accordi che obbligano le ong ambientaliste a fare lobby sui membri del Parlamento europeo. “Lascerei i giudizi sulla legalità agli organi di giustizia, ma in ogni caso servono chiarezza e trasparenza nei confronti di chi, come noi negli ultimi due anni ha lottato per riordinare la politica agricola del Green Deal e la sua strategia Farm to fork in quella che era una battaglia impari. Certo che è stato inopportuno. Ma ancora più inopportune sono le parole do chi difende Timmermans, dicendo che in democrazia vanno finanziate le ong perché dall’altro lato ci sono le multinazionali che hanno tante risorse. In democrazia non è possibile un uso compensativo dei soldi di tutti, soprattutto se fatto in maniera poco trasparente”. Pur prendendo per buono questo schema, voi agricoltori vi trovate tra l’incudine e il martello: da un lato le multinazionali con le proprie risorse, dall’altro le Ong ecologiste con le risorse europee. “Noi non abbiamo risorse che non sono nostre e ce ne vantiamo, è un privilegio non vivere delle elargizioni di altri. Ci sentiamo liveri nei confronti di tutti. La necessità degli agricoltori è garantire l’approvvigionamento alimentare e standard di qualità verso i consumatori, conservando la competitività delle nostre imprese. Su questi temi vedo che c’è una sensibilità diversa, una maggiore distanza da quelle politiche ideologiche che hanno bisogno di essere finanziate per avere consenso”. La presidente Von der Leyen, dopo aver bloccato a fine mandato le proposte più contestate, ha iniziato il secondo mandato con un pacchetto di proposte a favore degli agricoltori. La Commissione Ursula II è diversa dalla sua prima versione? “C’è un cambio di passo della Presidente e della Commissione in generale, ma anche della maggioranza parlamentare che è diversa da quella del primo mandato. Ora c’è un peso diverso del Ppe e anche dei conservatori, il dialogo con il Commissario all’Agricoltura Hansen è diverso rispetto al precedente, c’è una maggiore sensibilità agli interessi degli agricoltori e dei consumatori europei. Giusto reddito per gli agricoltori”. A proposito del Ppe, la scorsa settimana il partito ha elaborato un documento programmatico che mete in discussione radicalmente l’impostazione e i metodi del Green Deal. Si è chiusa una pagina politica? “Il Ppe si stava allontanando dai valori che hanno segnato l’espressione più alta della sua storia, ma dopo febbraio dello scorso anno c’è stato un profondo cambiamento sui temi dell’industria e dell’agricoltura con un ritorno alle origini. Ha fatto campagna elettorale con un forte richiamo alla competitività e al mondo produttivo, essendo il partito maggiormente rappresentativo ora ha una responsabilità enorme. Ora bisognerà misurare i progressi sui fatti concreti, a partire dalla strategia pluriennale e dalla ripartizione delle risorse per far ripartire le imprese europee che devono affrontare un quadro geopolitico in continuo movimento e la sfida del cambiamento climatico”. A proposito di quadro geopolitico, come Copa siete contrari ovviamente ai dazi Usa che potrebbe imporre Trump ma anche contro l’accordo con il Mercosur che ridurrebbe i dazi con il Sud America. non è contraddittorio? “Siamo contrari all’accordo con il Mercosur perché aprirebbe all’importazione di prodotti che costano significativamente meno per l’uso di tecniche non comparabili. Così si distorce il mercato e le nostre imprese chiudono. Serve reciprocità. Sulle tariffe degli Stati Uniti siamo preoccupati: se Trump mette i dazi, l’Europa dovrà rispondere. Speriamo – conclude il presidente del Copa – che non si arrivi a tanto e che si torni a discutere al Wto con una logica multilaterale”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali