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l'analisi

Cosa torna e cosa non torna nella mossa di Mps su Mediobanca

Mariarosaria Marchesano

L'ops apre a una nuova prospettiva nella battaglia per il controllo delle Generali che faciliterebbe Caltagirone e Delfin del Vecchio. Ecco i tre punti deboli di questo disegno

Quando si dice le coincidenze. Dal 9 gennaio, come risulta da comunicazioni Consob e dagli ultimi aggiornamenti della banca dati Bloomberg, la francese Natixis detiene una partecipazione del 6,2 per cento del Montepaschi. E’ la stessa società con cui Generali in settimana ha annunciato l’alleanza nel risparmio gestito che è stata contestata dai soci Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin-Del Vecchio, i quali oggi sono gli artefici del tentativo di scalata di Mps a Mediobanca con il sostanziale avallo del governo italiano.

Ma il mondo della finanza è fatto di intrecci di interessi e se i francesi sono allettati dal risparmio italiano gestito da Generali non è detto che non considerino un’opportunità anche il percorso che sta cercando di fare Mps per imporsi come perno del terzo polo bancario italiano, dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit. Parigi potrà così osservare da vicino come andrà a finire lo straordinario affondo di Montepaschi su Mediobanca. L’offerta pubblica di scambio da 13,3 miliardi, da pagare interamente con azioni di Siena, ha lasciato di stucco il mercato per l’audacia: da preda a predatore, almeno nelle intenzioni.

La mossa, oltre ad avere la logica industriale spiegata dall’ad del Monte, Luigi Lovaglio, apre una nuova prospettiva nella battaglia per il controllo delle Generali, il gioiello della corona del sistema finanziario italiano. Se l’operazione andasse in porto, infatti, nascerebbe una nuova entità finanziaria, una sorta di Mediobanca di Siena, che avrebbe la missione di facilitare la presa delle Generali da parte di Caltagirone e Delfin del Vecchio. Piazzetta Cuccia, infatti, è il principale azionista del Leone con il 13 per cento, che, sommato alle quote dei due imprenditori, creerebbe un fronte molto solido per il controllo della governance triestina. Insomma, una sorta di cavallo di Troia. Può funzionare? Il piano è ambizioso e possiede il fascino di scompaginare l’intero assetto finanziario del paese, di evidenziare che il modello di gestione dell’ad Alberto Nagel, fondato essenzialmente sulla redditività da partecipazioni, sulle gestioni patrimoniali e sul credito al consumo, forse non è l’unico possibile, e di dimostrare che anche una realtà che stava fallendo come Mps può capovolgere il suo destino. Ci sono, però, alcuni punti deboli in questo disegno, subito scandagliato da un esercito di analisti, italiani ed esteri, che si possono sintetizzare in tre punti.

Il primo è che Mps ha un valore di Borsa nettamente inferiore a Mediobanca. Questa forchetta ieri si è allargata dopo la reazione che hanno avuto gli investitori all’annuncio (Mps ha perso il 7 per cento mentre Mediobanca l’ha guadagnato). Così ad oggi Siena vale 8 miliardi e Piazzetta Cuccia 13,7 miliardi. Come fa una banca più piccola a comprare una più grande? Per compensare questa differenza potrebbe correre in aiuto un cuscinetto di capitale rappresentato dalle Dta, le così dette imposte differite, pari a 2,9 miliardi. Sul fatto che siano sufficienti esistono dei dubbi. Secondo punto: le sinergie industriali, che secondo le previsioni di Mps ammonterebbero a 700 milioni. Il timore è che un’aggregazione tra due soggetti con business così diversi non crei valore, tant’è che alcuni analisti spiegano che esiste il rischio di “potenziali dissinergie”. Montepaschi, da banca decotta è riuscita a tornare alla redditività grazie soprattutto agli elevati tassi d’interesse ma il suo modello di business, sostanzialmente di banca commerciale e con un sistema tecnologico datato, non le garantisce un futuro altrettanto profittevole. Terzo punto legato al secondo: Accetteranno gli azionisti di Mediobanca di essere pagati con i titoli di Mps? A osservare l’assetto attuale, la maggioranza del capitale è nelle mani del mercato (60 per cento), inteso sia come retail sia come fondi di investimento tra i quali ci sono soggetti come il fondo pensione del Giappone e quello degli insegnanti degli Stati Uniti, che non amano il rischio. Per quanto Caltagirone e Delfin, che totalizzano ormai quasi il 30 per cento e potranno certamente contare su una rete di alleanze, l’obiettivo di acquisire la totalità del capitale appare comunque lontano, almeno con una proposta che contiene un premio del 5 per cento che è stato azzerato dalla seduta di Borsa di ieri.

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