L'altro mercato
Perché un pezzo della partita su Mediobanca si gioca tra gli azionisti di Mps
Il primo ok da Bruxelles è un segnale positivo sull’offerta pubblica di scambio di Monte dei Paschi di Siena a Mediobanca, ma in Europa non c’è solo l’Antitrust. Paletti futuri e ostacoli da superare
Da Bruxelles arriva un segnale positivo sull’offerta pubblica di scambio di Mps a Mediobanca. L’Antitrust europeo ha fatto sapere che avendo ceduto lo stato la maggior parte della sua partecipazione nella banca senese, questa non è più soggetta ai vincoli che implicano di astenersi da acquisizioni ma può intraprendere le iniziative che ritiene più appropriate per perseguire i suoi interessi commerciali. Insomma, non saranno le regole sulla concorrenza e sugli aiuti di stato a mettersi di traverso al piano per la creazione del terzo polo bancario in Italia, che ha trovato il deciso sostegno del governo Meloni e provocato un terremoto nel mondo finanziario. In questo caso, l’assenza di una concentrazione di sportelli bancari sembra essere d’aiuto.
Ma in Europa non c’è solo l’Antitrust. Sull’operazione dovrà esprimersi anche la Bce entrando nel merito sia del piano industriale sia nella valutazione di eventuali rischi sulla solidità patrimoniale del soggetto che risulta dall’aggregazione. “Mediobanca di Siena” sarà abbastanza forte per stare e prosperare sul mercato? Inoltre, la prassi della Bce e della Consob è chiara: l’approvazione di operazioni ostili – come probabilmente il cda di Piazzetta Cuccia bollerà oggi la proposta di Mps – richiede che al termine dello scambio, i nuovi azionisti detengano almeno il 51 per cento del capitale. Solo così sarebbe possibile convocare un’assemblea per modificare il consiglio di amministrazione. Diversamente, questo il ragionamento, la situazione rischia di diventare ingovernabile, con un management che considera già la proposta ostile. Al momento, dunque, l’operazione vista da Bruxelles è ancora in buona parte da scandagliare lungo un percorso che non terminerà prima della fine dell’estate e dovrà superare vari scogli, alcuni più formali di carattere regolatorio e altri molto più sostanziali.
La valutazione del mercato è lo scoglio più grosso anche considerando che quello che succederà in Mediobanca andrà a determinare il destino del gruppo Generali. Con la perdita subita ancora ieri dal titolo Mps (meno due per cento), la differenza di capitalizzazione tra le due banche è aumentata: Mediobanca in Borsa vale quasi il doppio del Monte (14 contro 8 miliardi) e questo non solo azzera il premio contenuto nell’offerta senese ma lo trasforma in una perdita potenziale di oltre il 10 per cento per gli azionisti di Piazzetta Cuccia. E qui si vedrà la reale volontà di Mps di rendere l’offerta più appetibile attingendo, magari, al capitale in eccesso accumulato dalla banca che è di circa 2 miliardi. Se la sentirà l’ad Luigi Lovaglio, a cui tutti riconoscono di avere contribuito al risanamento della banca, di rilanciare sul prezzo mettendo in gioco tali risorse? Si può dire, infatti, che un primo test dell’operazione sarà proprio l’assemblea dei soci di Mps, in programma per i 17 aprile. La riforma dello statuto, avvenuta in tempi non sospetti, consente alla banca di utilizzare la convocazione unica dell’assemblea con un quorum per l’approvazione dell’ops che è del 50 per cento dei votanti più uno e non di due terzi come in altre società.
Ad oggi, sommando le partecipazioni note di Mef, Caltagirone, Delfin e Anima si arriva a circa il 35 per cento, senza contare la rete di alleanze tra gli altri investitori che Lovaglio sta cercando di costruire. La sfida sarà di arrivare al quorum previsto dallo statuto tenendo conto delle caratteristiche di un azionariato in cui la presenza di investitori istituzionali con politiche molto prudenziali è molto diffusa. Il grande orgoglio del Mef quando ha collocato le tranche di capitale di Mps sul mercato è stato proprio l’ingresso di importanti investitori finanziari internazionali. Una presenza che potrebbe rivelarsi ingombrante in assemblea: non sarebbe la prima volta nella storia delle scalate che si formano delle minoranze di blocco all’interno delle società proponenti. Tra l’altro, nel capitale della banca senese si osservano continui movimenti, come quello di inizio gennaio della francese Natixis, la stessa con cui Generali ha sottoscritto l’alleanza nel risparmio gestito indispettendo i soci Caltagirone e Delfin, che ha costruito una posizione in strumenti derivati pari al 6,3 per cento. Ma non partirà da qui un’eventuale opposizione alla conquista di Mediobanca perché, a quanto risulta da fonti finanziarie, la posizione sarebbe stato costruita conto terzi, per la precisione per consentire proprio a Delfin di arrivare poco sotto la soglia del 10 per cento del Monte dall’iniziale investimento del 3,5 per cento. Intrecci finanziari e sfide di mercato per un’ops che segna il ritorno dello stato nelle banche a 35 anni dalla loro privatizzazione.