Timothy Geithner e Larry Summers (Ansa)

Stagnazione secolare, addio: un'allerta per governi e Bce

Ignazio Angeloni

Se il tasso d’interesse neutrale è elevato, la politica monetaria è da rivedere in senso restrittivo. La fragile situazione della finanza pubblica italiana condizionata da fattori internazionali che i dati del mercato non mostrano ancora

Criticato per aver cambiato idea su una certa questione, si racconta che il celebre economista John Maynard Keynes abbia risposto: “Quando le informazioni cambiano, cambio le mie conclusioni. Cosa fa lei, signore?”. La citazione è probabilmente apocrifa ma il consiglio è stato seguito alla lettera, poche settimane fa, dal più noto economista keynesiano in servizio attivo, l’ex ministro del tesoro degli Stati Uniti Larry Summers. Parlando al circolo degli economisti di New York, ha affermato: “La mia stima del tasso di interesse neutrale in questo momento è attorno al 4,5 per cento”.  Per il lettore non abituato al gergo degli economisti, precisiamo che il tasso di interesse “neutrale” è quello di equilibrio, che prevale e a cui la banca centrale deve attenersi in assenza di rischi di inflazione o recessione. La cosa straordinaria di questa affermazione è che essa proviene dalla stessa persona che per anni aveva sostenuto che l’economia globale si tovava in una “stagnazione secolare” per effetto della quale i tassi di interesse erano destinati a scendere a livelli sempre più bassi, al limite verso lo zero. Nell’economia americana il 4,5 per cento significa l’1,5-2 per cento in termini reali, il livello più alto degli ultimi quindici anni.

   

Ci vuole coraggio per ricredersi in modo così plateale; Summers ha l’autorevolezza per farlo e i fatti sono inequivocabili: lo si vede nell’andamento dei tassi di interesse a lungo termine negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nei tre principali paesi dell’Eurozona. Dopo essere calati gradualmente per molto tempo negli ultimi decenni, in tutti i paesi i tassi sono saliti drasticamente a partire dal 2022, data in cui, forse non per caso, l’inflazione ha rialzato la testa. Da allora sono rimasti alti, anche se l’inflazione si è ridotta e i tassi a breve sono scesi. Addio stagnazione secolare, dunque? Pur volendosi astenere da conclusioni premature, tre anni di tassi a lunga stabilmente e sostanzialmente elevati sono tanti per affermare che si tratta di un’eccezione passeggera. Soprattutto considerando che nell’ultimo anno le banche centrali hanno fatto di tutto per convincere che l’inflazione è sconfitta e i tassi devono tornare a scendere. Forse i mercati finanziari stanno cercando di dirci qualcosa che le banche centrali non hanno ancora ascoltato: e cioè che l’incertezza geopolitica, i dubbi sul futuro del commercio, la crisi della globalizzazione e della connessa offerta di lavoro e di prodotti manifatturieri a basso costo sanzionano la fine di un’era, quella di un’inflazione spontaneamente bassa e stabile. Lo aveva già detto qualche anno fa in solitudine un altro grande keynesiano, il decano degli economisti inglesi Charles Goodhart. Ora accade.

   

Il ragionamento di Summers però continuava. La frase successiva – faccio sempre da interprete – suonava così: “Se il tasso neutrale è attorno al 4,5 per cento, la politica monetaria non è sostanzialmente restrittiva e non c’è ragione per allentarla”. Si riferiva alla Federal reserve americana, il cui tasso di riferimento è oggi al 4,3 per cento, dopo essere sceso di un punto percentuale l’anno scorso, a fronte di un’inflazione che nelle varie definizioni si colloca fra il 2,5 e il 3 per cento. La banca centrale degli Stati Uniti, le cui previsioni sono pubbliche, prevedeva fino a poco fa un’altra riduzione di un punto nel prossimo biennio, messa però sempre più in dubbio nelle ultime settimane. 

  

La Banca centrale europea pare avviata a essere l’ultima ad accorgersi del cambiamento in atto. Dopo aver ridotto i tassi nel 2024, anch’essa di un punto, arrivando però a un livello ben più basso, il 3 per cento, ha lasciato intendere che siccome la politica monetaria continua a essere restrittiva altre riduzioni dei tassi arriveranno; il mercato stima si arrivi al 2 per cento quest’anno. Alla luce dei ragionamenti di Summers e degli ultimi dati di inflazione nell’Eurozona – 2,4 per cento in dicembre, dinamica magari un po’ gonfiata da andamenti pregressi ma che in futuro sarà alimentata da prezzi dei servizi ancora in crescita sostenuta, da quotazioni energetiche in crescita e dal deprezzamento dell’euro – questa previsione appare, al di fuori della Bce e forse anche in alcune stanze di essa, sempre più dubbia col passare dei giorni. La banca centrale dovrebbe seriamente ragionare su quale sia il tasso neutrale a cui deve tendere e aggiornare le proprie valutazioni su quanto, o meglio su se, la propria politica monetaria sia oggi effettivamente restrittiva oppure no. In un recente rapporto al Parlamento europeo, lo scrivente è arrivato a conclusioni per l’Europa analoghe a quelle di Summers: la politica monetaria della Bce è oggi neutrale e non vi è spazio per ulteriori allentamenti.

   

Un’ultima osservazione riguarda la finanza pubblica italiana. Il rendimento dei titoli di stato italiani ha raggiunto due picchi, nel 2011 (la crisi che portò all’avvento del governo Monti) e nel 2018 (prima fase del governo Conte I). Il tasso oggi è di nuovo su quest’ultimo livello, ma per ragioni diverse: allora all’origine vi era una crisi di fiducia sulla situazione interna, mentre oggi agiscono fattori internazionali. Pur non essendo vera la storia che a volte viene raccontata, e cioè che questo governo ha ridotto lo spread dai livelli elevati cui lo aveva lasciato quello precedente – lo spread era salito alla fine del governo Draghi per la debolezza di quel governo e per l’aspettativa che il successivo avrebbe portato la finanza pubblica fuori controllo – alla premier Giorgia Meloni e al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti va comunque il grande merito di avere smentito quell’aspettativa e tenuto salde le redini delle finanze nell’ultimo biennio. Oggi però il vento è cambiato e bisogna rifare i conti. Le ipotesi su cui si basa il rientro del debito sono superate, non solo dal lato della crescita ma per l’andamento dei tassi qui discusso. La situazione non è compromessa ma è fragile, anche se i dati del mercato non lo mostrano ancora. Il collaudato tandem Meloni-Giorgetti deve tornare in trincea e su di esso facciamo affidamento.

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