gli scenari
Il governo teme una controfferta su Mediobanca. Perciò servono 2,5 miliardi per migliorare l'Ops
E se arrivasse un concorrente di Mps? Una bocciatura dell’ops, così com’è stata anche comunicata, potrebbe rappresentare un messaggio lanciato a tutti i potenziali soggetti capaci di lanciare un’offerta migliore di quella di Montepaschi. I timori del Mef e l'ipotesi francese
Mentre l’ad di Mps, Luigi Lovaglio, è volato a Londra per incontrare i fondi d’investimento e convincerli della bontà dell’ops su Mediobanca, nelle stanze del governo, secondo quanto risulta al Foglio, si fa largo una preoccupazione: e se arrivasse una controfferta? Si tratta di uno scenario teorico, ma da non escludere visto che le banche italiane ed europee hanno, mai come ora, miliardi di capitale in eccesso da poter impiegare in acquisizioni. In questi casi c’è sempre la possibilità di una proposta concorrente e sicuramente gli advisor di Mps, Ubs e Jp Morgan, l’avranno messo in conto dal principio. Ma un campanellino d’allarme è scattato nelle ultime ore con la lettura in controluce della nota emessa dal cda di Mediobanca che ha bocciato l’offerta di Mps definendola “ostile”. Tra le motivazioni addotte, oltre all’assenza di una ratio industriale e finanziaria, è stato sottolineato con enfasi il nodo dello “sconto” per gli azionisti di Piazzetta Cuccia.
Vuol dire che per come ha reagito il mercato, ampliando la differenza di valore tra le due società, gli azionisti di Mediobanca ci andrebbero a perdere e non a guadagnare. In finanza tutto conta, anche i toni, e quelli usati dalla banca d’affari guidata da Alberto Nagel sono stati particolarmente duri. E’ possibile che questo tipo di reazione non dipenda solo da un sentimento di “lesa maestà” milanese come tutti pensano ma voglia dire qualcos’altro?
Una bocciatura dell’ops, così com’è stata anche comunicata, potrebbe rappresentare un messaggio lanciato a tutti i potenziali soggetti capaci di lanciare un’offerta migliore di quella di Mps. Della serie, se proprio ci devono acquisire, venderemo cara la pelle. Sul piano tecnico, come confermano gli studi legali consultati, è prerogativa del cda rigettare un’offerta ritenuta scadente e sollecitarne di migliori. L’articolo 104 del Testo unico della finanza, quando delimita l’ambito di applicazione della cosiddetta passivity rule dice: “La mera ricerca di altre offerte non costituisce atto od azione in contrasto con gli obiettivi dell’offerta”. Insomma, la nota di Mediobanca potrebbe contenere il classico “message in a bottle”. Ma chi potrebbe lanciare una controfferta?
Allo stato, si sta ragionando sempre per ipotesi, gli unici con spalle abbastanza larghe in Italia sono Unicredit, se non fosse impegnato nella doppia scalata a Commerzbank e Banco Bpm, e Intesa Sanpaolo, se non fosse che il ceo Carlo Messina ha spiegato più volte di avere margini ridotti di manovra sul mercato italiano dopo l’acquisizione di Ubi. Ammesso comunque che Intesa possa farci un pensiero, considerando ad esempio che nel 2016 tentò una mossa su Generali, appare poco credibile che si concretizzi a ridosso del rinnovo delle cariche del cda che avverrà ad aprile. Messina sarà quasi certamente riconfermato come consigliere delegato, ma è difficile ipotizzare un suo coinvolgimento in questa partita, che comunque starà seguendo con attenzione non avendo fatto mistero proprio di recente del suo scetticismo sull’intervento degli stati nelle vicende bancarie. Se le cose stanno così, è più probabile che un eventuale cavaliere bianco per Mediobanca arrivi da fuori. Ma da dove?
Gira e rigira sempre la Francia sembra essere il paese più coinvolto dalle dinamiche del sistema finanziario e assicurativo italiano, come dimostra anche il recente accordo Generali-Natixis. Escludendo Crédit Agricole, già impegnata su Banco Bpm in un’ottica di confronto-scontro con Unicredit, come principale indiziato resterebbe il gruppo Bnp Paribas. Se questo, o un altro operatore estero, si facesse avanti per mettendo sul piatto una proposta alternativa per gli azionisti di Mediobanca, magari con una componente cash, si aprirebbe una prospettiva poco piacevole per il governo Meloni che considera la creazione di un terzo polo bancario come una priorità. Non è affatto scontato, infatti, che Palazzo Chigi possa esercitare il golden power per bloccare l’avanzata di un soggetto concorrente essendo il Mef azionista di Siena con l’11,7 per cento.
Si potrebbe configurare un potenziale conflitto di interessi in capo allo stato, allo stesso tempo arbitro e parte attiva in una delle due parti. L’unico modo per prevenire una situazione del genere, seguendo il filo di un ragionamento di mercato, sarebbe quello di migliorare da subito l’offerta di Mps a Mediobanca. A una settimana esatta dall’annuncio dell’ops, resta ampia la forbice che in Borsa separa la capitalizzazione tra le due banche, il che implica una perdita teorica di circa il 10 per cento per gli azionisti di Mediobanca. Da qui si comprende la difficoltà di Lovaglio nel convincere fondi di investimento come Blackrock, che ragionano con i numeri alla mano.
Partendo dai valori attuali, per colmare le distanze e offrire un premio agli azionisti per una acquisizione-fusione, gli esperti calcolano che servirebbe una cifra di 2-2,5 miliardi, che corrisponde grosso modo al capitale in eccesso di cui dispone Mps. Sarebbe questo, insomma, il prezzo da pagare per creare il terzo polo. Intanto Moody’s ha peggiorato il suo giudizio su Mediobanca “a causa delle pressioni sul merito creditizio che potrebbe derivare da una combinazione con un gruppo più debole come Mps”.
Politica monetaria