![](https://img-prod.ilfoglio.it/2025/02/07/185136624-8a334a4a-6320-4ded-ba26-0b1e29367e86.jpg)
Franco Bruni (Ansa)
affari bancari
Da Mps e Bper. Il consolidamento tra le banche è una buona notizia
Per Franco Bruni, vice presidente dell'Ispi, "i grandi gruppi sono capaci di istaurare buoni rapporti nei diversi contesti locali offrendo a famiglie e imprese soluzioni di credito e di investimento più variegate e innovative rispetto a una piccola banca"
L’ops di Bper su Banca Popolare di Sondrio è l’ultima (ma non si può mai dire) scalata bancaria di questa grande stagione di consolidamento che rende potenzialmente più solido il sistema finanziario italiano ma pone anche dei quesiti sul rapporto con i territori e sul credito alle imprese. La stessa storia della Pop Sondrio e la sua pluriennale resistenza a trasformarsi in società per azioni in seguito alla riforma, la rivendicazione ostinata di una “biodiversità” che deriva da una origine cooperativistica, riecheggia tutt’oggi che l’istituto è oggetto di un’offerta pubblica di scambio che vuole essere amichevole da parte della banca guidata da Franco Papa, ma che non sembra percepita come tale negli ambienti valtellinesi. Eppure, Carlo Cimbri, ad di UnipolSai, da quando ha acquisito la prima partecipazione nella Pop Sondrio aprendo la strada alla partecipata Bper, ha sempre cercato un dialogo con i vertici della banca lombarda ripetendo di avere rispetto per quel modello e rimarcando i valori comuni.
Sono passati sette anni e il dialogo non è sempre stato facile. Si vedrà se Sondrio prepara un altro fronte di resistenza oppure se nascerà quello che a tutti gli effetti sarebbe il vero terzo polo bancario italiano, dopo Intesa Sanpaolo che balla da sola e Unicredit che punta ad aggregare Banco Bpm e Anima, oltre che valutare se andare avanti con Commerzbank e allo stesso tempo giocare un ruolo nella partita per il controllo di Generali. A pari merito tra terzo e quarto polo ci sarebbe Mps-Mediobanca, il progetto appoggiato dal governo Meloni, che, tra l’altro, segna il ritorno dello stato nella definizione degli assetti del credito in Italia. Al di là di come finiranno le singole operazioni, che perseguono anche finalità e strategie diverse, c’è da domandarsi quali effetti avrà questo grande consolidamento sul sistema Italia. In economia tutto si spiega e non c’è dubbio che un risiko così dinamico abbia origine in uno scenario macro in cui la politica monetaria ha un ruolo, come fa osservare al Foglio Franco Bruni, vice presidente dell’Ispi e ordinario di politica monetaria internazionale all’Università Bocconi.
“Il passaggio da un approccio restrittivo della Bce per controllare l’inflazione a uno espansivo ha generato negli intermediari finanziari il timore di non riuscire a mantenere i livelli di redditività raggiunti con l’aumento dei tassi. Così, ora che il costo del denaro sta scendendo si è scatenata la corsa delle banche alle economie di scala, che personalmente condivido solo in parte”. In che senso? “Fusioni e acquisizioni non dovrebbero avvenire tanto per questa ragione quanto per espandersi, per conquistare nuovi mercati in una scala europea, come sta tentando di fare Unicredit con Commerzbank. Invece, quando si annunciano queste operazioni si sente parlare solo di sinergie, che in parole povere vuol dire risparmio di costi. Mi pare che manchi una visione strategica più ampia”. Di risiko bancario si parla da anni. Ma nessuno faceva il primo passo perché queste operazioni sono molto costose. Poi gli anni 2023 e 2024 hanno portato nelle casse delle sole banche quotate utili che superano abbondantemente 50 miliardi di euro. “Di sicuro c’è abbastanza denaro per fare quel salto di dimensione e di innovazione che la transizione digitale richiedeva da tempo – prosegue Bruni - Quindi, benvengano fusioni e acquisizioni anche a livello domestico poiché l’attuale numero di banche in Italia è a mio parere troppo elevato, mi pare più equilibrato un assetto come quello francese che conta su tre o quattro grandi gruppi mentre ritengo insostenibile quello tedesco perché eccessivamente frammentato. Ma quello che servirebbe davvero è avere campioni europei: ricordiamoci che se 300 miliardi all’anno di ricchezza defluiscono negli Stati Uniti è perché non siamo in grado di investirli con un’adeguata redditività qui in Europa. Per me il consolidamento bancario dovrebbe essere interpretato anche con questa chiave”. E, però, sono tutti aspetti finanziari. Qualche dato sull’economia reale dovrebbe fare riflettere. Dalle rilevazioni della Banca d’Italia emerge che proprio negli anni in cui le banche generavano extra profitti grazie ai tassi, l’erogazione di credito dalle imprese è diminuita.
Nella prima metà del 2024 “è proseguita la cautela delle banche nella loro offerta di credito rivolta alle imprese” e nella seconda metà dello scorso anno le cose non sono cambiate. E’ anche vero che si osserva una riduzione della propensione agli investimenti da parte delle stesse aziende e però non è abbastanza chiaro se è una conseguenza della restrizione del credito oppure una scelta. Non crede che questo faccia rimpiangere le banche dei territori? “Quel modello è ormai superato: i grandi gruppi sono altrettanto capaci di instaurare buoni rapporti nei diversi contesti locali offrendo a famiglie e imprese soluzioni di credito e di investimento più variegate e innovative rispetto a una piccola banca. Il futuro è ormai questo e le operazioni sul tavolo che hanno maggiori probabilità di successo sono quelle che meglio riusciranno a spiegare la logica industriale al di là delle sinergie”.