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Una vetrina di Gucci a Pechino (VCG via Getty Images)
Kering perde quota, ma cresce in borsa. Ragioni possibili
Dopo il tonfo seguito al licenziamento di De Sarno, il gruppo di Pinault cerca una stabilizzazione. E nonostante il crollo degli utili, risale. Il settore è solido o solo too big to fail? Perché gli analisti credono ancora nel lusso
Il tonfo borsistico di Kering seguito la scorsa settimana al licenziamento del direttore creativo Sabato De Sarno (non si può chiamarlo in altro modo, si dice sarà compensato da una buonuscita di 18 milioni di euro, tutto sommato adeguati quando hai bruciato la carriera di un neo-quarantenne), è stato corretto poche ore fa da una corsa significativa all’acquisto del titolo nonostante un bilancio 2024 che definire difficile è un eufemismo: i ricavi del gruppo guidato da François-Henri Pinault sono infatti calati del 12 per cento a 17,194 miliardi di euro, mentre l’utile netto è crollato del 62 per cento a 1,13 miliardi dai 2,98 del 2023. E non ci sono dubbi che i conti sarebbero stati ancora peggiori se i gestori dei flussi di cassa della multinazionale non fossero in tutta evidenza molto abili e se le recenti vendite nel real estate, un forte asset del gruppo, non si fossero rivelate utilissime per il nuovo turnaround che attende Gucci. Voci interne dicono che non saranno le ultime cessioni, anche in vista della crescita della partecipazione in Valentino che, al momento dell’accordo, due estati fa, valeva 5,6 miliardi.
Poche ore fa, il titolo Kering ha chiuso la giornata con una crescita dello 0,29 per cento, favorendo peraltro tutto il comparto del lusso, e Pinault si è dichiarato cautamente ottimista, fiducioso di “aver portato Kering a un punto di stabilizzazione, dal quale riprenderemo gradualmente la nostra traiettoria di crescita”. Ma se le piccole fluttuazioni positive delle vendite in Asia sono state sufficienti a sostenere il titolo, resta da capire per quale motivo gli analisti vogliano continuare a credere non solo in Kering, ma in tutto il settore.
Proviamo a ipotizzare due ragioni.
La prima: la moda, gestita ormai da decenni con le logiche del mass market, è diventata in effetti mass market, cioè too big to fail, troppo grande per colare a picco dopo aver distribuito ricchi dividendi per due decenni. Milioni di posti di lavoro, migliaia di attività collaterali nella cultura e nello sport.
La seconda: sembrerà banale, ma è un settore infinitamente più divertente di troppi altri. È questo è l’asset intangibile ultimativo. Nessuno, di questa moda, vuole fare a meno.