![](https://img-prod.ilfoglio.it/2025/02/11/190525540-5d15fb87-0019-4a71-a77a-22d10048e7e8.jpg)
commercio
Ricavi, Restrizione, Reciprocità. Qual è la strategia di Trump con i dazi?
Nella storia degli Stati Uniti la politica commerciale ha puntato a tre obiettivi: revenue, restriction, reciprocity. Trump intende perseguire tutte le "tre R", ma il problema è che sono tra loro inconciliabili
Firmando l’ordine esecutivo con cui gli Stati Uniti hanno imposto dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio, chiudendo le scappatoie e le deroghe esistenti per alcuni paesi, Donald Trump ha detto che i dazi sono uno “strumento efficace” per raggiungere “obiettivi strategici”. Ciò che, però, non si comprende bene finora è quale sia la “strategia” dell’Amministrazione Trump. Nel libro “Clashing over Commerce: A History of US Trade Policy” l’economista Douglas Irwin, uno dei massimi esperti in materia, mostra che la storia della politica commerciale statunitense è stata guidata da “tre R”: revenue, restriction e reciprocity.
Il governo degli Stati Uniti, in sostanza, attraverso i dazi, ha cercato in varie fasi storiche di perseguire prevalentemente uno di questi obiettivi: incrementare il gettito (revenue) del governo federale; restringere (restriction) le importazioni per proteggere l’industria domestica dalla concorrenza internazionale; ottenere reciprocità (reciprocity) attraverso accordi per ridurre le barriere commerciali. Al contrario di quanto si possa immaginare, in realtà la politica commerciale americana è stata caratterizzata da una grande stabilità. Irwin suddivide tutta la storia degli Stati Uniti in tre lunghe ere di politica commerciale, in ognuna delle quali una delle “tre R” è stata prevalente.
Nella prima, che va dal 1837-1860, i dazi non avevano una funzione protezionista (quindi non erano altissime), ma avevano essenzialmente l’obiettivo di finanziare la spesa del governo: all’epoca, le tasse sulle importazioni coprivano circa il 90% del gettito fiscale. Nell’èra che va dal 1861 al 1933, dopo la Guerra civile, con il prevalere dei Repubblicani del nord dove erano concentrati gli interessi dell’industria sui Democratici che invece rappresentavano gli interessi del Sud più orientato all’export, a prevalere fu l’obiettivo protezionista: difendere i produttori domestici attraverso dazi sempre più elevati, che però rappresentavano una quota decrescente del bilancio. Dopo il disastro dello Smoot-Hawley Tariff Act che aumentando i dazi e frammentando il commercio internazionale aggravò e prolungò la Grande depressione, a partire dal 1933 con il ritorno dei Democratici – ma poi con continuità e condivisione nell’alternanza con i Repubblicani – gli Stati Uniti perseguirà accordi internazionale per ridurre, sulla base della reciprocità, le barriere commerciali.
Come si nota, i grandi cambiamenti nella storia della politica commerciale americana sono avvenuti in seguito a due grandi choc: la Guerra civile e la Grande depressione. Donald Trump è il primo presidente, dagli anni Trenta, che già durante la sua prima amministrazione ha marcato un’inversione di tendenza – proseguita anche dal suo successore Joe Biden – imponendo dazi in maniera unilaterale. Ciò che però non si è ancora capito è a quale delle delle “tre R” sia ispirata la sua strategia. Perché sia in campagna elettorale sia nei primi mesi da presidente le ha indicate tutte come obiettivo.
Ad esempio, Trump ha affermato che l’aumento dei dazi serve a produrre un cospicuo gettito (che lui sostiene sarà a carico i produttori esteri, anche se in realtà a pagare sono i consumatori americani) per tagliare le altre tasse. Si tratta della prima R: revenue. In numerose altre dichiarazioni, Trump ha affermato che i dazi servono a difendere l’industria domestica e a far aumentare i posti di lavoro nella manifattura (anche se in realtà le evidenze vanno in senso contrario). L’obiettivo, che è quello perseguito nel suo primo mandato, è la seconda R: restriction. Annunciando gli ultimi dazi sull’acciaio, Trump ha dichiarato che si tratta di “reciprocal tariffs” in modo che gli Stati Uniti si uniformino agli altri paesi. Questa, peraltro, è anche la politica che attuò William McKinley – il presidente indicato da Trump come modello – che una volta alla Casa Bianca si ricredette sulla sua politica protezionista e aprì alla riduzione dei dazi sulla base di accordi commerciali. In una certa misura sembra anche l’uso dei dazi come strumento negoziale su altri tavoli come l’immigrazione visto all’opera nel confronto con Messico e Canada. L’obiettivo è la terza R: reciprocity.
Si potrebbe pensare che Trump punta a tutti e tre gli obiettivi, ma il problema è che sono tra loro inconciliabili. Se vuoi restringere le importazioni per proteggere l’industria domestica – ha spiegato recentemente Irwin al Wall Street Journal – non puoi usare i dazi come uno strumento negoziale per ottenere reciprocità; se invece vuoi usare i dazi per aumentare il gettito, non puoi difendere le imprese dato che le entrate derivano dal fatto che le merci vengono importate e quindi le aliquote non possono essere troppo elevate. “Non puoi realmente ottenere tutte e tre le R contemporaneamente”. Al momento si sa solo che a Trump i dazi piacciono tantissimo, resta da capire per quale ragione.