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Il destino comune di Italia e Germania sui dazi
L'economia italiana e quella tedesca sono intrecciate e, insieme, rappresentano l'80 per cento del deficit commerciale degli Stati Uniti. Più che con Trump, Meloni deve dialogare con Merz per costruire un fronte comune
Simul stabunt, simul cadent: dietro il crollo della produzione industriale italiana negli ultimi due anni ci sono diverse cause, molte congiunturali e alcune strutturali. Tra queste ultime, la più importante, è la crisi dell’industria tedesca. È una cosa che tutti riconoscono commentando i dati negativi dell’Istat sulla nostra manifattura, ma che tanti rimuovono quando si parla dei dazi di Trump.
Su questo tema aleggia la tesi di una possibile trattativa, e quindi di accordo, su base bilaterale tra Italia e Stati Uniti per via del buon rapporto politico tra Giorgia Meloni e Donald Trump. È un’idea che viene rappresentata da sinistra come un rischio, perché rappresenterebbe un indebolimento o finanche la dissoluzione dell’Unione europea; e che invece iene descritta da destra come un’opportunità, perché consentirebbe all’Italia di avere se non un salvacondotto quantomeno un trattamento privilegiato rispetto alla furia protezionista di Trump. In realtà, a prescindere da ogni personale opinione, è un’ipotesi che non ha alcun fondamento concreto. E questo proprio per l’indissolubile legame tra l’economia tedesca e quella italiana.
La Germania è, al tempo stesso, la principale destinazione delle merci italiane e il principale esportatore nel nostro paese: il suo peso è, rispettivamente, di circa il 12% sull’export (60 miliardi di euro nei primi dieci mesi del 2024) e del 15% sull’import (71 miliardi di euro). Dalla Germania l’Italia importa perlopiù autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (14,7 miliardi), macchinari e apparecchiature (11,7 miliardi), prodotti chimici (9,5 miliardi su un totale di 89 miliardi nel 2023), prodotti farmaceutici di base (7,5 miliardi), prodotti della metallurgia (6,3 miliardi), apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (6,4 miliardi), e così via. Dall’Italia, la Germania acquista principalmente macchinari e apparecchiature (10,7 miliardi su un totale di 74,6 nel 2023), autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (8,8 miliardi), prodotti della metallurgia (7,6 miliardi), prodotti in metallo (4,5 miliardi), prodotti chimici (5,2 miliardi), apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (4,9 miliardi), prodotti farmaceutici di base (3,5 miliardi) e articoli in gomma (altrettanto).
Due aspetti dovrebbero colpire e spiegano molto ciò che sta succedendo. Il primo: gran parte dell’interscambio tra riguarda prodotti intermedi, che vengono riutilizzati nei rispettivi processi produttivi. In particolare, l’export italiano di tali tipologie di merci in Germania vale circa l’80% del totale. Il secondo elemento è che le categorie di beni scambiati sono pressoché identiche: questo suggerisce che molti prodotti finiti italiano o tedeschi contengono, al proprio interno, componenti che provengono dal partner commerciale.
In questa fitta rete di scambi, l’automobile occupa un ruolo centrale: da un lato perché è l’epicentro della crisi industriale tedesca; dall’altro perché è uno dei principali clienti della manifattura italiana. Dentro questo 20%, il contributo italiano è stimato attorno al 2,4%, riconducibile principalmente a metallurgia, componentistica e meccanica. In questi ambiti, così come nella gomma-plastica, l’Italia è il principale fornitore estero delle imprese tedesche dell’automotive; per il tessile e la pelletteria è il principale fornitore in assoluto (anche considerando i fornitori domestici).
Anche rispetto all’esigenza di Trump di ridurre il deficit commerciale statunitense, i due paesi sono nella stessa posizione. La Germania ha con gli Stati Uniti un avanzo commerciale di circa 86 miliardi e l’Italia di 42 miliardi: insieme, Roma e Berlino, rappresentano circa l’80% del deficit commerciale degli Usa con l’Ue (156 miliardi nel 2023). L’automotive, uno dei casi più citati da Trump quando si lamenta dell’eccessiva presenza di vetture tedesche nelle strade di New York, da solo rappresenta circa 40 miliardi di euro di export europeo negli Stati Uniti e 30 miliardi di surplus commerciale.
Chi pensa che l’Italia possa farla franca evitando dazi sul parmigiano e il prosecco (due prodotti di eccellenza interamente made in Italy), non considera che i principali settori di export italiano in Usa sono la meccanica, la farmaceutica, l’automotive. Esattamente gli stessi settori in cui è forte l’export tedesco e in cui, tra l’altro, ci sono beni intermedi italiani. Perché se a New York, a causa dei dazi, circoleranno meno Volkswagen e Bmw vuol dire che si produrranno meno freni o sedili italiani.
Più che con Washington, l’Italia deve dialogare con Berlino. Se non per spirito europeo, per interesse nazionale. Con l’obiettivo da un lato di riscrivere insieme le regole a Bruxelles per rilanciare l’industria europea e dall’altro di elaborare una strategia comune per difendersi da una guerra commerciale con l’altra sponda dell’Atlantico. È certamente utile che Giorgia Meloni abbia buoni rapporti con Trump, ma è più importante che costruisca un’ottima intesa con Friedrich Merz, il probabile prossimo cancelliere tedesco.