(Ansa)

l'intervista

De Bortoli ci spiega cosa c'è dietro l'assedio a Mediobanca 

Mariarosaria Marchesano

“Perché l’Italia non ha  una sua JpMorgan?  Avrebbero dovuto farlo Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, insieme”

Ha ragione il sistema bancario e finanziario milanese a sentirsi assediato dalla politica romana? “Sì, ma ha anche delle responsabilità. Bisognerebbe domandarsi perché, nonostante ci fossero le condizioni, questo  sistema non sia stato in grado di dare vita a una Jp Morgan italiana, considerata la mole di risparmi che produce il nostro paese e la necessità di competere con i grandi asset manager americani”. Chi avrebbe dovuto farlo? “Ma non c’è dubbio: Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, insieme”.

Ferruccio De Bortoli, milanese doc, già due volte direttore del Corriere della Sera, di cui è editorialista, ed ex direttore del Sole 24 Ore in anni in cui la centralità del nord nella finanza non era in discussione, accetta di fare una riflessione a tutto campo con il Foglio sul riassetto in atto che, con un certo ruolo attivo del governo Meloni, sta spostando l’asse del potere da Milano a Roma. “Tutto quello che sta accadendo è segno di grande vitalità e di molta liquidità – comincia – In campo non ci sono buoni e cattivi, ma soggetti animati da interessi diversi, spesso più di carattere personale che generale, i quali non riescono a trovare un’intesa. E mancano figure, com’era un tempo la Banca d’Italia, in grado di metterli intorno a un tavolo per farli ragionare”. Per dirla con una metafora politica, manca un “federatore”, osserva De Bortoli, che ricorda lo scontro tra la finanza cattolica e la finanza laica negli anni Ottanta-Novanta: Comit, da un lato e Mediobanca-Cuccia, dall’altro. Ma quello scontro restò dentro il perimetro milanese. “La novità oggi è la presenza dello stato: mi meraviglia che la partecipazione del Mef all’operazione di Mps su Mediobanca e, comunque, il suo interventismo in questo campo anche con lo strumento del Golden Power, non sia oggetto di un ampio dibattito pubblico, anche a livello mediatico”.

Lei che cosa ne pensa? “Un po’ sta succedendo anche in altri paesi ed è un segno dei tempi. Ma in Italia si spiega più con l’ansia del governo di destra di prendersi una rivalsa contro quella galassia del nord, di cui farebbero parte la finanza, i giornali e anche la magistratura, che ritiene gli remi contro”. Insomma, sempre la storia dei poteri forti. “Esatto, è quell’idea, che risale ai tempi di Berlusconi, che vuole esista un deep state in grado di condizionare finanche il risultato elettorale. Ma non esistono poteri forti, se ci fossero avrebbero già trovato una soluzione alle vicende bancarie di cui stiamo parlando. Nel Novecento sarebbe andata così”. Siamo nel 2025 e due anni e passa di tassi Bce elevati hanno dato agli istituti di credito le risorse necessarie per avviare acquisizioni e fusioni. Tecnicamente si spiegano così le offerte di Mps su Mediobanca, di Unicredit su Bpm e di Bper su Popolare di Sondrio.

Poi, però, c’è una resa dei conti che viaggia sotto traccia. “Le divergenze tra azionisti privati e management, sia in Mediobanca sia in Generali, vanno avanti da troppo tempo e non è più sostenibile. Probabilmente all’origine di tutta la vicenda c’è il rifiuto di Mediobanca della donazione di Leonardo Del Vecchio allo Ieo. In quel caso penso si sia persa una grande opportunità per lo Ieo e per tutto il sistema sanitario e scientifico milanese. Una ferita mai sanata. Poi, certo, più di recente è subentrato l’interesse di Delfin e del gruppo Caltagirone a far valere le proprie ragioni di grandi azionisti di Generali e di Mediobanca e così quest’ultima si ritrova ad essere oggetto di un’offerta pubblica di scambio da parte di Montepaschi di cui, francamente, fatico a vedere la logica industriale”.

Un’operazione imprevedibile o Mediobanca non l’ha vista arrivare? “Sempre nel Novecento quest’operazione non sarebbe neanche stata concepita, sarebbe stata ritenuta, diciamo, blasfema. Ma se è accaduta vuol dire qualcosa”. Cosa? “Forse Mediobanca ha sopravvalutato la sua centralità, rispetto ai tempi di Enrico Cuccia e che i suoi vertici hanno frequentato troppo Londra, poco Milano e zero Roma. Guardando poi gli ultimi conti, mi pare abbia senso la critica che dice che ha legato un po’ troppo la sua redditività alla partecipazione detenuta in Generali. Detto questo, penso che andava trovato uno sbocco più costruttivo al conflitto tra soci e management evitando un arroccamento dannoso per il paese. Invece di costruire un grande gestore patrimoniale italiano tra Mediobanca, Generali e Intesa, stiamo perdendo tempo con la rivincita romana su Milano”. Trascura, però, che Mps è una banca risanata e liquida. “Riconosco che Luigi Lovaglio, che fu nominato da Draghi a capo della banca senese, ha fatto un gran lavoro. E forse l’esito più naturale di questo percorso sarebbe stata un’aggregazione con Bper nel centro Italia per dare vita al terzo polo. L’estraneità del mondo coop, all’origine del gruppo Unipol-Bper, agli ambienti della destra di governo ha ostacolato questo progetto. Ma la Lega deve stare attenta, forzando così la mano col Montepaschi rischia di commettere lo stesso errore fatto dal Pd negli anni passati. I partiti dovrebbero tenersi a distanza dalle banche: la storia dimostra che è pericoloso”. Mps però stava dialogando con un’altra realtà milanese, Banco Bpm, per realizzare il progetto del terzo polo.

Poi è arrivata Unicredit. “Evidentemente, Unicredit crede in questa aggregazione e non mi pare abbia senso provare ad ostacolarla asserendo che non è una banca italiana. E’ possibile che Andrea Orcel paghi lo scotto di non avere grandi frequentazioni con la politica romana, pur essendo lui stesso romano, ma vedremo come andrà a finire”.  Orcel, infatti, ha acquistato oltre il 5 per cento di Generali e farà valere così il suo peso all’assemblea di maggio dove si conteranno i voti. E’ la finanza che comanda o la politica? “Mi pare che in questa fase il peso del mercato venga sottovalutato. E’ molto rilevante nelle banche italiane la presenza di investitori internazionali, lo stesso mondo che ha già espresso un giudizio severo sul Decreto Capitali del governo. E’ inevitabile che decideranno in base alle aspettative di rendimento e in base ai prezzi delle offerte”. Però c’è anche un altro aspetto: i territori e le imprese si sentono sempre più estranee a tutto questo. Il caso della Popolare di Sondrio, che per anni ha resistito alla trasformazione in spa, esprime bene questo scollamento. “Bper si dovrà porre il problema di come contemperare il suo legittimo progetto di crescita dimensionale con il senso di appartenenza a quella banca che sentono i cittadini valtellinesi. Una bella sfida che dovrebbe indurre a una riflessione sul rapporto tra finanza ed economia reale”.
 

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