(Ansa)

Alternativa a Unicredit

Perché l'opzione di Crédit Agricole per Bpm non è solo una fantasia finanziaria

Mariarosaria Marchesano

Punta a rafforzare la sua posizione in Bpm, con possibili implicazioni per la governance e la politica economica italiana. Il governo Meloni rischia di trovarsi di fronte a un altro "boccone indigesto" con l'espansione della banca francese in Italia

Lo scontro senza esclusione di colpi tra l’ad di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, e il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, sta contribuendo a sollevare una tale cortina fumogena nel mare agitato del risiko bancario italiano da far perdere la bussola anche ai navigatori più esperti. Non è un caso che ieri l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, abbia ribadito di voler restare assolutamente fuori da un contesto che ha definito “caotico”. Ma se si cerca di guardare oltre la nebbia, la domanda è una sola: che cosa succede se Unicredit ritira l’offerta sulla banca milanese? Non è detto che lo faccia perché, fino a prova contraria, l’aggregazione con Banco Bpm è strategica per il gruppo Unicredit che punta a una crescita internazionale ma vuole anche rafforzarsi sul mercato domestico per accorciare la distanza proprio con Intesa. D’altra parte, se dovessero cambiare determinate condizioni dell’operazione lanciata da Bpm su Anima, Unicredit afferma che potrebbe tirarsi indietro.

Una tale eventualità spianerebbe la strada all’avanzata dei francesi di Crédit Agricole su Bpm. Crédit Agricole è da tempo il primo azionista della banca milanese con una partecipazione diretta del 9,9 per cento, ma lo scorso dicembre, pochi giorni dopo il lancio dell’ops da parte di Unicredit, ha annunciato di avere acquistato strumenti derivati pari al l 5,2 per cento del capitale salendo così al 15 per cento e contemporaneamente ha chiesto l’autorizzazione alla Bce per arrivare al 20 per cento. Una risposta immediata alla scalata di Orcel con il quale i vertici del gruppo d’Oltralpe non si sono ancora mai incontrati per trovare un accordo. Il via libera della Bce non è ancora arrivato, ma di fatto la Banque Verte, che in Italia ha appena visto uno storico avvicendamento con Hugues Brasseur al posto di Giampiero Maioli nel ruolo di amministratore delegato, vedrebbe automaticamente rafforzata la sua posizione in vista della scadenza del cda il prossimo anno. 


Secondo l’attuale formulazione del Decreto Capitali, sarebbe Crédit Agricole, in quanto di gran lunga maggiore azionista, ad avere più chance presentando la sua lista di consiglieri. Soprattutto considerando che l’ad Castagna difficilmente ne presenterebbe una concorrente avendo proprio di recente definito Crédit Agricole un azionista “felice, fedele e serio” e mostrato una certa soddisfazione per il suo rafforzamento nel capitale. Insomma, anche se il Crédit decidesse di non lanciare un’opa, eventualità che a dicembre ha escluso, di fatto non avrebbe troppe difficoltà a prendere in mano la governance della banca. Uno scenario che suonerebbe come una beffa per il governo Meloni che qualche tempo fa ha eccepito la non italianità di Unicredit e agitato lo spettro della Golden Power. Inoltre, se Orcel rinunciasse ad acquisire Banco Bpm verrebbe meno per Palazzo Chigi l’argomento su cui far leva per provare a ottenere l’appoggio dal banchiere nella partita Mps-Mediobanca-Generali. Insomma, il risultato sarebbe che a Piazza Meda si parlerebbe francese senza che si possa fare più di tanto per impedirlo e sarebbe il secondo boccone indigesto dopo l’alleanza sul risparmio siglata da Generali con Natixis.

Ovviamente, si tratta di uno scenario ipotetico almeno fino al 28 febbraio quando dall’esito dell’assemblea dei soci convocata da Banco Bpm si capirà che tipo di piega è destinata a prendere l’offerta su Anima e di conseguenza come si regolerà Unicredit. Castagna chiederà ai suoi azionisti l’autorizzazione a ritoccare il prezzo dell’offerta sulla società del risparmio gestito e di poter andare avanti anche senza il sostegno del Danish compromise, sulla cui applicazione le autorità europee non si sono ancora espresse. La ragione dello scontro tra Orcel e Castagna è che il primo ha sollevato dubbi sul fatto che Bpm potrà mantenere un determinato coefficiente patrimoniale (Cet1 ratio) sopra il livello di 13, considerato nella media europea, nell’eventualità in cui l’acquisizione avvenisse senza lo sconto del compromesso danese,  e il secondo ha accusato il primo di avere diffuso notizie “errate e fuorvianti” perché invece la solidità patrimoniale della banca milanese si manterrebbe in ogni caso sopra quella soglia.

Nel farlo, Castagna non ha mancato di lanciare una doppia stoccata a Unicredit. Stupisce – afferma in sintesi una nota di Bpm – che UniCredit, mentre fornisce indicazioni sui requisiti patrimoniali di Banco Bpm insinuando dubbi sulla sostenibilità dei target da questa comunicati al mercato, non ritenga opportuno fornire chiarimenti sugli investimenti in Commerzbank e Generali, sia in termini di impatto a livello patrimoniale sia di chiarezza del complessivo disegno strategico, nonché dei rischi collegati all’esposizione in Russia. In attesa che qualche autorità di vigilanza intervenga per ristabilire un certo equilibrio, il clima del risiko in Italia è ormai tossico.