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Il deficit 2024 dell'Italia è migliore del previsto: 3,5% (secondo gli analisti)
Le stime degli osservatori sono tutte inferiori al 3,8% indicato dal governo. Meglio anche il debito Tra i fattori: fiscal drag
“Premiata la prudenza di Giorgetti, si può scendere sotto il 3% con un anno d’anticipo”, dice Codogno
In Via XX Settembre le bocche sono cucite, non ci sono commenti sul deficit fino alla pubblicazione, il 3 marzo, dei dati ufficiali su pil e indebitamento 2024 da parte dell’Istat. Ma a differenza dell’anno scorso, quando il bollettino dell’Istat arrivò come un fulmine a ciel sereno a certificare un disavanzo nel 2023 di quasi 2 punti di pil in più rispetto alla Nadef (per effetto del Superbonus fuori controllo), stavolta ci si attende che le sorprese siano in senso positivo. Non dello stesso ordine di grandezza dello scostamento dell’anno scorso, ma di qualche decimale.
A ottobre, nel Documento programmatico di bilancio, il governo prevedeva un deficit del 3,8%, ma dovrebbe scendere al 3,5%. È questa la stima di Lorenzo Codogno, fondatore di LC Macro Advisors ed ex capo economista del Mef, dopo aver visto gli ultimi dati della Banca d’Italia sul debito pubblico, anch’essi migliori del previsto. “Secondo le mie stime – dice al Foglio – il debito pubblico sarà al 135,5% del pil, più basso del 135,8% delle proiezioni del governo. E il deficit sarà al 3,5% rispetto alle stime ufficiali del 3,8%”. Anche Ref Ricerche prevede che il deficit è al 3,5%, mentre secondo Oxford Economics è al 3,6%. In ogni caso gli analisti osservano un miglioramento rispetto alle proiezioni del governo. Ma quali sono le ragioni?
“Gli ultimi dati sulle entrate fiscali sono buoni – dice Codogno al Foglio –. Questo è in parte un effetto dell’inflazione e del fatto che non sono stati adeguati gli scaglioni fiscali. Il governo dice che ha tagliato le tasse, ed è vero perché c’è stata la riduzione del cuneo fiscale. L’opposizione dice che la pressione fiscale è aumentata, e anche questo è vero”. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel terzo trimestre la pressione fiscale è stata pari al 40,8%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2023. È l’effetto del fiscal drag che, come hanno scritto sul Foglio gli economisti Marco Leonardi e Leonzio Rizzo, ha drenato a lavoratori dipendenti e pensionati attraverso l’Irpef circa 25 miliardi nell’ultimo triennio.
Un altro fattore è che, dal Covid in poi, “la ripresa economica è stata ricca di posti di lavoro, in Italia più del resto d’Europa – dice Codogno – e questo ha fatto aumentare le entrate”. Nel terzo trimestre del 2024 (ultimi dati disponibili) le entrate correnti sono aumentate del 5,4% sul 2023, con una forte crescita dei contributi sociali (+5,9%) per effetto dell’aumento dell’occupazione. Il terzo elemento è il recupero dell’evasione fiscale: secondo i dati diffusi due giorni fa dall’Agenzia delle entrate, nel 2024 sono stati recuperati 26,3 miliardi di euro (+1,6 miliardi rispetto al 2023), che salgono a 33,4 miliardi di euro (+2 miliardi) aggiungendo le entrate recuperate per conto di altri enti. È il risultato più alto di sempre, secondo l’Agenzia.
Il riequilibrio dei conti c’è stato anche sul lato della spesa. Nel terzo trimestre le uscite sono calate del 4,4% rispetto al 2023, soprattutto per effetto della fine del Superbonus (-75% la voce “altre uscite in conto capitale”), ma anche le uscite correnti al netto degli interessi (+3,7% sono aumentate meno delle entrate. “Sta avvenendo una spending review sotto i radar – spiega Codogno – ed è esattamente questo che l’Italia deve fare: ribilanciare le uscite a favore degli investimenti contenendo la spesa corrente”.
Mettendo tutto insieme – più entrate, meno uscite e anche una spesa per interessi più favorevole del previsto – i conti risultano migliori delle stime prudenziali che il Mef aveva inserito nei documenti di bilancio. “Il ministro Giorgetti ha sempre detto che è meglio essere cauti piuttosto che fare promesse che poi non si possono mantenere. È un atteggiamento prudente che viene visto bene dai mercati. Con questo andamento – prosegue Codogno – il governo ha la possibilità di scendere sotto il 3% di deficit già nel 2025, uscendo dalla procedura d’infrazione con un anno di anticipo. Sarebbe un messaggio molto forte in termini di credibilità per i mercati finanziari”.
L’obiettivo è ambizioso: il Dpb consegnato a Bruxelels prevede nel 2025 un deficit del 3,3%, in discesa di 0,5 punti di pil: dato che ora si partirebbe da 3,5% (anziché da 3,8), mantenendo lo stesso aggiustamento, si può arrivare al 3% anche con una crescita molto più bassa dell’1,2% prevista dal governo? “Le mie stime sono di un +0,6% di crescita – dice Codogno – ma il governo può farcela comunque perché le entrate vanno bene e c’è un trascinamento per l’anno in corso”.
Sarebbe una linea di politica fiscale coerente con quella adottata finora, che ha portato a miglioramenti progressivi sul saldo di bilancio. Nel Def di aprile il deficit era previsto al 4,3%; nel Dpb la previsione è scesa al 3,8% e, ora, il dato consolidato dovrebbe essere attorno al 3,5%. È un andamento in controtendenza rispetto a paesi, come la Francia, che hanno dovuto vedere al rialzo il proprio disavanzo (6,1% nel 2024, in aumento di 0,6 punti rispetto al 2023). Inoltre il forte aggiustamento fiscale italiano, come ha spesso segnalato il consigliere economico del ministro Fabio Pammolli, non ha avuto un impatto negativo sulla crescita (“Abbiamo sperimentato un moltiplicatore fiscale inferiore a zero”, ha detto riferendosi al Superbonus).
L’incognita di fondo, però, è politica: il governo, dovrà resistere alla tentazione politica di usare questa maggiore riduzione del disavanzo per misure di spesa. Finora Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti ci sono riusciti, ma nel frattempo – dalle bollette al taglio delle tasse, dalla rottamazione delle cartelle alla sterilizzazione dell’adeguamento dei criteri pensionistici all’aspettativa di vita – la lista della spesa dei partiti di maggioranza si è allungata.
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