Donald Trump (Ansa)

La strategia negoziale trumpiana sui dazi è del tutto scollegata dalla realtà

Lorenzo Bini Smaghi

L'unico effetto certo sarà l'aumento dei prezzi interni e la riduzione della competitività americana. Forse quando il presidente americano lo capirà tornerà sui suoi passi ma una parte del danno comunque sarà fatto e peserà sulle spalle principalmente degli americani

E’ difficile, di questi tempi, non commentare le decisioni e gli annunci che fa ogni giorno il neopresidente Trump da quando si è insediato. Una delle ultime uscite consiste nell’adottare il principio di reciprocità ai dazi doganali. In altre parole, gli Stati Uniti intendono imporre dazi sulle importazioni in modo equiparato ai dazi che gli altri paesi mettono sulle loro importazioni di beni americani. 
L’annuncio ha destato interesse, e in alcuni casi anche il plauso
. Anche se si ispira alla legge del taglione, può esserci una certa razionalità nell’applicare sanzioni commerciali in modo simmetrico. Anche perché gli Stati Uniti registrano un disavanzo con il resto del mondo. Si potrebbe obiettare che questa politica vìola i princìpi dell’Organizzazione mondiale del commercio, che sottopongono l’adozione di dazi a specifiche procedure di autorizzazione e a criteri ben precisi. Questa obiezione si scontra tuttavia con l’opinione, sempre più diffusa, che le organizzazioni internazionali non servono più, soprattutto agli interessi americani. Inoltre, se la minaccia di alzare le tariffe indurrà gli altri paesi ad abbassare le loro, si potrebbe arrivare a un commercio non solo più libero ma anche più giusto.

In ogni caso, la minaccia dei dazi sembra oramai far parte integrante della strategia negoziale del “nuovo sceriffo in città”, come lo ha soprannominato recentemente il vicesceriffo J. D. Vance
Il problema di questa strategia è che appare totalmente scollegata dalla realtà. Non è solo impraticabile, ma anche irrazionale e dannosa, soprattutto per gli Stati uniti stessi. Non è dunque credibile, nemmeno come punto di partenza di un negoziato. E’ impraticabile, innanzitutto, perché richiede un sistema di monitoraggio e di adeguamento del sistema tariffario che si declina in oltre 10 mila voci per ciascuno dei 200 paesi partner commerciali degli Stati Uniti. In tempi di tagli della pubblica amministrazione americana, il risultato sarebbe alquanto caotico. Anche se si semplificasse il sistema, si innescherebbero diatribe legali e incertezze che penalizzerebbero gli esportatori di entrambe le parti.

Inoltre, non è detto che il risultato comporti un aumento dei dazi americani. In realtà, gli Stati Uniti impongono già delle barriere sulle importazioni di molti beni, in particolare quelli agricoli, per proteggere i produttori americani. Applicare seriamente il principio di reciprocità significherebbe in molti casi ridurre le tariffe americane e far entrare prodotti esteri a basso prezzo, come ad esempio i cereali, che spazzerebbero via i produttori locali, cosa politicamente infattibile. Il caso europeo è emblematico. Trump ha fatto alcuni esempi di dazi europei più elevati di quelli americani, ad esempio sulle automobili o sui prodotti agricoli. Ha omesso tuttavia di menzionare il caso opposto, di dazi americani più elevati, ad esempio sui camion e pick-up, come ha ricordato il Commissario europeo al commercio Sefcovic, sbarcando a Washington nei giorni scorsi per avviare il negoziato bilaterale. Considerando l’insieme dell’interscambio transatlantico, il saldo netto dei dazi è sostanzialmente in pareggio. Questo è il motivo per cui Trump ha cominciato a tirato in ballo, oltre ai dazi, anche l’Iva europea, che a suo avviso penalizza le importazioni americane, nonostante si applichi anche ai prodotti manufatti nell’Unione.

Infine, seguire il principio di reciprocità significa di fatto allineare le misure tariffarie a quelle decise dagli altri paesi, rinunciando di fatto a una propria politica commerciale. Per tutti questi motivi l’annuncio di Trump non è credibile. Ciò non significa che gli Stati Uniti rinunceranno del tutto ai dazi. Ma piuttosto che tali misure non avranno niente a che fare con la reciprocità e saranno probabilmente slegate da una analisi razionale basata sui dati effettivi. Lo dimostrano gli unici dazi seri finora messi in atto dalla nuova amministrazione, quelli sulle importazioni di acciaio e di alluminio, che secondo il premio Nobel Paul Krugman si distinguono per la loro stupidità. Sono stupidi non solo perché colpiscono principalmente il Canada, un paese alleato, che produce acciaio e alluminio a minor prezzo grazie ai costi inferiori di energia, ma soprattutto perché questi prodotti intermedi sono cruciali per la manifattura statunitense, ad esempio nel settore aeronautico e automobilistico. L’unico effetto certo sarà quello di aumentare i prezzi interni e di ridurre la competitività americana. Quando lo capirà, forse Trump tornerà sui suoi passi. Ma una parte del danno sarà stato fatto. E pagato principalmente dagli americani.

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