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Foto ANSA
Verso un nuovo campione
Fusioni ma non solo. Perché è da seguire l'asse tra Italia e Norvegia
Il matrimonio tra Saipem e Subsea7 farebbe nascere un colosso mondiale dell’ingegneria energetica da 20 miliardi di ricavi e 43 miliardi di portafoglio ordine. Qualcosa non ha convinto il mercato, ma il suo giudizio complessivo appare positivo
Ci deve essere un feeling particolare tra il governo Meloni e la Norvegia in questo periodo, sicuramente più che con la Francia per quanto riguarda i vari dossier finanziari e industriali aperti. Dopo che la Premier aveva fatto sapere che un fondo di investimento norvegese, il più grande al mondo per asset, ha tanta fiducia nell’Italia da avere portato il suo investimento in Btp a 8 miliardi, nel week end è stato annunciato il matrimonio della partecipata pubblica Saipem con il gruppo Subsea7, sempre del paese dei fiordi. Obiettivo: far nascere un colosso mondiale dell’ingegneria energetica con 20 miliardi di ricavi e 43 miliardi di portafoglio ordine, il cui nome sarà Saipem 7.
L’investitore che ama i titoli di stato italiani è Norges Bank, che in effetti è tra i fondi sovrani più liquidi a livello globale, mentre Subsea7 è da sempre il principale concorrente di Saipem e vede come principale azionista la Siem Industries, compagnia che fa capo al magnate norvegese Christian Siem seguito dal fondo americano Elliot e dal fondo Folketrygdfondet, che gestisce le pensioni dei dipendenti del governo norvegese per conto del ministero delle Finanze. Entrambe le società, sia Saipem che Subsea, hanno, comunque, azionariati diffusi con un gran numero di operatori di mercato di livello internazionale, ma post fusione l’Italia sarà presente nel nuovo gruppo con una partecipazione “combinata” del 17 per cento tra Eni e Cdp, che nei fatti consentirà di avere un peso prevalente nella governance. Così a Saipem spetterà la nomina dell’amministratore delegato (il primo sarà Alessandro Puliti, il manager che ha rimesso in piedi la società dopo la crisi del 2021) mentre Subsea nominerà il presidente.
Non è un caso che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, abbia sottolineato che la fusione “costituisce il perfetto esempio di come il pubblico può valorizzare operazioni industriali imponenti”. In effetti, il colosso Saipem 7 avrà sede in Italia e sarà quotato sia alla Borsa di Milano, con una capitalizzazione di 9-10 miliardi di euro, sia a quella di Oslo. Fare una fusione cross border senza dover agitare lo spettro del Golden Power rappresenta il colpo perfetto per Palazzo Chigi, che sempre più spesso sta intervenendo per favorire soluzioni “italiane” nei processi di consolidamento che riguardano i settori bancario-finanziario e quello telefonico. Ma nonostante l’apprezzamento espresso a caldo da buona parte degli analisti per il disegno industriale e le sinergie tra i due gruppi, qualcosa non ha convinto il mercato. I due titoli hanno avuto, infatti, una reazione opposta, molto positiva quella di Subsea a Oslo e negativa quella di Saipem a MIlano che si è concretizzata verso fine giornata dopo un primo momento di entusiasmo.
Come mai? Ci potrebbero essere problemi di antitrust europeo anche se le geografie si presentano complementari e i tempi di esecuzione annunciati sono piuttosto lunghi (si parte dal 2026), ma si tratta di aspetti non determinanti dell’affare italo-norvegese. Il dubbio più grande affiorato solo nel tardo pomeriggio di ieri è che negli accordi sottoscritti ci possano essere condizioni che penalizzano la parte italiana, in particolare il dividendo straordinario di 450 milioni di dollari che gli azionisti di Subsea si distribuiranno prima della fusione di cui circa 110 milioni andranno dritti nelle tasche del magnate norvegese Siem.
Ma tutto ha un prezzo e come spiega al Foglio Alessandro Pozzi, analista di Mediobanca Research, “sembra una fusione, ma in realtà è Saipem che compra Subsea ”. In questi casi, infatti, può capitare che le parti si accordino per quello che Pozzi definisce un “dolcificante” per chi viene acquisito, in questo caso i soci norvegesi. “Ad ogni modo – prosegue – riteniamo che l’operazione abbia una chiara logica strategica e possa portare alla nascita di un vero campione globale nei servizi energetici offshore. Grazie alla combinazione delle loro competenze, risorse e flotte, le due società potrebbero ottenere importanti sinergie di ricavi riducendo il numero di player del settore. Inoltre, vediamo le rispettive flotte altamente complementari e questo beneficio non solo migliorerebbe i margini di Saipem 7 ma porterebbe vantaggi all’intero settore”. Insomma, alla fine il giudizio è positivo sul piano industriale mentre su quello finanziario è pragmatico: il sistema Italia (Eni-Cdp) ha accettato l’idea che la società con cui si sta per sposare porterà in dote 450 milioni in meno. Un compromesso: prendere il comando di una public company non è mai gratis.