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Politica monetaria

Oltre i dazi. Per valutare Trump occhio a chi detiene il debito americano

Nicola Rossi

Ottomila miliardi di dollari su 35 complessivi sono in mano a investitori giapponesi, cinesi e inglesi. La politica monetaria dell'Amministrazione prevede significative limitazioni all'indipendenza della Fed, ma bisogna guardare oltre i mercati di merci e servizi

Che differenza passa fra voltare le spalle di punto in bianco all’alleato e rinnegare (direttamente o indirettamente) il debito? Forse meno di quanto non si possa immaginare a prima vista. In ambedue i casi si dilapida un patrimonio – di credibilità e di affidabilità – costruito nel tempo e a volte, in parecchi decenni a fronte di un vantaggio che spesso e volentieri si rivela tale solo nel breve periodo. In ambedue i casi si individua un soggetto debole – l’alleato in difficoltà o il piccolo o grande risparmiatore – e lo si colpisce senza remore. In ambedue i casi si accetta di pagare ai nuovi alleati – stati sovrani o nuovi sottoscrittori che siano, ammesso che ve ne siano – un prezzo spesso piuttosto elevato, non solo monetario. In ambedue i casi stracciare un contratto o violare una norma (anche minando l’indipendenza di autorità terze) appare come una attraente scorciatoia. In ambedue i casi si accetta un futuro fatto di circospezione e diffidenza temperata – nel migliore dei casi – dalla sola “personale cortesia” (per usare parole di Alcide De Gasperi). 

Il debito pubblico americano è pari oggi a circa 35 mila miliardi di dollari o, se si preferisce, a poco più del 120 per cento del prodotto interno lordo statunitense. Al netto del debito detenuto da agenzie governative, il debito pubblico americano si attesta in prossimità dei 28 mila miliardi di dollari. L’onere per il servizio del debito stesso non è lontano dai 400 miliardi di dollari (il 16 per cento circa della spesa federale). Fra i principali detentori non statunitensi del debito pubblico americano si trovano i giapponesi (poco più di mille miliardi di dollari), i cinesi (poco meno dello stesso importo), gli inglesi (per circa 700 miliardi di dollari). Ulteriori 5 mila miliardi di dollari sono detenuti da investitori di altri paesi, portando il totale del debito pubblico americano detenuto da investitori non statunitensi a poco meno di 8 mila miliardi di dollari. Nel solo 2025, dovrebbero andare a scadenza circa 3 mila miliardi di debito pubblico americano, per lo più a breve termine.

Secondo il Congressional Budget Office, nel 2035 il debito pubblico statunitense potrebbe crescere di un ammontare vicino a un ulteriore 20 per cento del prodotto e toccare il 140 per cento. Un livello ritenuto ancora sostenibile ma sempre più vicino a quello di guardia. Per quel che vale, i credit default swap a cinque anni relativi al debito pubblico statunitense, crollati dopo le elezioni dello scorso novembre e rimasti a quei livelli anche dopo l’insediamento, a febbraio sono tornati su livelli prossimi a quelli prevalenti prima della campagna elettorale presidenziale.

Per quel che vale, il capitolo dedicato alla politica monetaria dal Project 2025 – preparato dalla Heritage Foundation e da molti ritenuto il punto di riferimento programmatico dell’attuale presidenza statunitense – prevede, all’interno di un menù certamente radicale (anche se in più punti meritevole di riflessioni), una significativa limitazione dei compiti del sistema di banche centrali statunitensi e ipotizza la nomina di una commissione che abbia il compito di analizzare la missione della Fed, valutare alternative alla struttura attuale dell’autorità monetaria e alla presente architettura regolatoria. Non è difficile immaginare che ne potrebbe anche derivare una significativa limitazione all’indipendenza della Fed.

Dei circa 8 mila miliardi di dollari detenuti da investitori non statunitensi, oltre mille miliardi sarebbero di investitori europei – fra cui la Banca centrale europea – che potrebbero essere forse sommati ai 700 miliardi di dollari detenuti oltre la Manica. Nel valutare le scelte, presenti e future, dell’attuale Amministrazione statunitense e le risposte che potrebbero essere necessarie, forse sarebbe opportuno andare oltre i mercati delle merci e dei servizi.
 

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