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Un’azienda hi-tech cinese (Costfoto/NurPhoto via Getty Images)
Una guerra all'ultimo chip tra Stati Uniti e Cina
La guerra tecnologica tra Washinton e Pechino ha segnato l’ultimo decennio, e sarà così anche per il prossimo. Le strategie e le forze sul terreno. Chi è favorito sui diversi fronti e quali sono i fattori che da qui al 2035 stabiliranno il vincitore
La storia dell’ultimo decennio, dal 2015 al 2025, è la storia della guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Anche il prossimo decennio vedrà al centro questa competizione. A che punto siamo? Come è cominciato tutto? Partiamo da due discorsi.
Il primo è pronunciato alla conferenza nazionale della scienza da Deng Xiaoping nel 1978. E’ un vero punto di svolta per comprendere la nuova Cina. Deng mette al centro la modernizzazione della scienza e della tecnologia, come base dello sviluppo cinese. Questo concetto, che aveva subito distorsioni e fraintendimenti durante il periodo della Banda dei Quattro, è affermato davanti a migliaia di scienziati, ricercatori e ingegneri. Per Deng, “senza la rapida crescita della scienza e della tecnologia, non ci può essere una rapida crescita dell’economia”. Scienza e tecnologia sono “parte delle forze produttive”. Solo attraverso un cambio di paradigma, per cui l’impegno di un ricercatore e di uno scienziato è di per sé un buon servizio per la causa socialista, la Cina potrà avere un ruolo all’interno di filiere tecnologiche che Deng cita in modo esplicito: la sintesi dei polimeri, l’energia atomica, i computer elettronici, i semiconduttori, l’astronautica, i laser.
Il secondo discorso, pronunciato da Xi Jinping nel 2014, è rivolto sempre a ingegneri e scienziati. Il segretario generale del Partito, egli stesso ingegnere come da tradizione della leadership cinese da Jiang Zemin, mentre consolida il suo potere colloca l’ambizione scientifica e tecnologica al centro del “sogno cinese” di rinnovamento nazionale. Xi esorta a cogliere le grandi opportunità offerte dalla nuova epoca, e indica aree specifiche, tra cui manifattura avanzata, biotecnologie, cloud computing, nuovi materiali. E’ sulla crescente capacità di muoversi in alto nella catena del valore delle alte tecnologie che si misurerà la solidità del sogno cinese, l’inversione del “secolo di umiliazione” in cui la Cina è sprofondata per aver perso il treno della rivoluzione industriale. La forza “rossa ed esperta” di cui parla Deng, quasi quarant’anni dopo, diviene l’armata dell’innovazione di Xi. Con l’imperativo di coinvolgere sia la ricerca di base che quella applicata, e di promuovere incessantemente la collaborazione tra università, centri di ricerca e imprese.
Sia Deng che Xi pongono l’accento sulla indipendenza tecnologica, pur riconoscendo la necessità di imparare dalle esperienze di altri paesi. La strategia Made in China 2025. L’avventura di Zhao Weiguo, infanzia tra maiali e pecore, e di Tsinghua Unigroup, dall’offerta di 23 miliardi per Micron al fallimento
Sia Deng che Xi pongono l’accento sull’indipendenza tecnologica, pur riconoscendo la necessità di imparare dalle esperienze di altri paesi. Deng afferma che “indipendenza non significa chiudere la porta al mondo, né autosufficienza dev’essere cieca opposizione a tutto ciò che è straniero”. Xi esorta a “intraprendere un percorso di innovazione indipendente con caratteristiche cinesi”.
In Cina, i discorsi di propaganda non restano solo sulla carta. Nel caso del progetto scientifico e tecnologico, l’esecuzione non è affidata solo ai quadri del partito ma passa anche per il percorso di un ex allevatore di maiali e pecore in Xinjiang: Zhao Weiguo. Ed è proprio nel 2015, anno decisivo, che comincia a far parlare di sé. Quell’anno Tsinghua Unigroup, una società fino ad allora poco conosciuta, fa un’offerta di 23 miliardi di dollari per Micron, un grande produttore americano di chip specializzato in memorie, e attira l’attenzione globale. Questa mossa, sostenuta da finanziamenti statali, rivela le ambizioni cinesi nel settore dei semiconduttori. Quello stesso anno, Xi Jinping parla dell’applicazione della strategia del Fronte Unito, volta a mobilitare chi non è membro del Partito, alla diaspora cinese, in particolare i ricercatori all’estero. E nel 2015 la Cina annuncia la strategia Made in China 2025, con l’obiettivo di aumentare la propria indipendenza e autosufficienza nelle filiere tecnologiche, per divenire la fabbrica del mondo anche nelle industrie a più alto valore aggiunto. Le ambizioni cinesi su Micron suonano come una sveglia per Washington. Gli Stati Uniti hanno considerato le stesse tecnologie chiave, tra cui i semiconduttori alla base della digitalizzazione, come una commodity: in un mercato aperto e globale, conviene comprare dai produttori migliori, ovunque siano. Cosa succede, tuttavia, se le aziende americane che ancora hanno una posizione nella geografia della produzione vengono acquisite da veicoli cinesi? Cambia tutto. L’apertura del mercato va limitata con imperativi di sicurezza nazionale verso il proprio avversario, Pechino, secondo la logica del capitalismo politico. Così, Tsinghua Unigroup apprende che il comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS), non avrebbe mai consentito alla transazione, e abbandona il progetto, concentrandosi su altre acquisizioni.
Zhao Weiguo, che guida il veicolo cinese, è nato nel 1967 in Xinjiang, da genitori spediti lì durante la Rivoluzione Culturale, e ha trascorso l’infanzia tra maiali e pecore, prima di studiare ingegneria elettronica presso l’Università di Tsinghua. Partecipa poi al boom del settore immobiliare, accumulando una fortuna che gli ha permesso di acquisire una partecipazione in Tsinghua Unigroup nel 2009. Zhao progetta acquisizioni e investimenti, collaborando con aziende americane come Intel e Western Digital, che partecipano al grande banchetto del mercato cinese. Tuttavia, la storia di Micron si ripete e molte acquisizioni falliscono a causa dell’opposizione dei governi stranieri, che davanti all’ambizione di gruppi come Tsinghua adeguano i loro strumenti di protezione, come l’italiano “golden power”. Nel 2021, Tsinghua Unigroup ha dichiarato fallimento. Eppure, Tsinghua Unigroup ha contribuito lo stesso a formare ingegneri di semiconduttori e a sviluppare una posizione nella produzione di chip di memoria. Anche i fallimenti fanno parte della grande storia di Made in China 2025, e della sua controversia.
Made in China 2025 ha funzionato o no?
Nel 2019 Lou Jiwei, ex ministro delle Finanze cinese e “riformista” legato all’ex premier Zhu Rongji, critica apertamente Made in China 2025, definendola letteralmente uno spreco di denaro dei contribuenti e sostenendo che il governo non avrebbe dovuto scegliere quali industrie sostenere, ma affidarsi al mercato. Questa dura presa di posizione, avvenuta durante le “due sessioni” annuali dei principali organi politici cinesi, porta poi alla sua rimozione dalla guida del fondo nazionale di sicurezza sociale.
Eppure, a fine 2024 vari organi di stampa, tra cui “Bloomberg” in uno studio approfondito ripreso nel podcast “Odd Lots”, hanno affermato che Made in China 2025 è stato un sostanziale successo. Nonostante le critiche e le difficoltà incontrate, la Cina ha compiuto progressi significativi in diversi ambiti. E’ diventata leader mondiale in settori come i veicoli elettrici e l’energia solare, superando le aspettative iniziali e raggiungendo una posizione di dominio nel mercato globale. Tra i settori di interesse, i progressi cinesi sono stati molto significativi anche nella produzione di droni, oltre che nella robotica industriale, nelle macchine utensili, nei macchinari agricoli e nei prodotti farmaceutici. Tutto ciò ha avuto costi importanti, certo. E gli ingenti investimenti statali, stimati in centinaia di miliardi di dollari, hanno accentuato gli squilibri tra produzione e consumo nell’economia cinese. Le ambizioni del piano di ridurre la dipendenza dalle importazioni tecnologiche hanno poi contribuito a innescare la guerra commerciale e tecnologica con gli Stati Uniti e le tensioni con altri partner. Il “marchio” Made in China 2025 non è amato dalla leadership cinese da diversi anni: proprio dal 2019 è finito in disuso, per ridurre le tensioni. Tuttavia, gli obiettivi di fondo sono ormai integrati nei piani quinquennali. Un rapporto dell’Australian Strategic Policy Institute ha rilevato che la Cina è ora leader mondiale nella ricerca in quasi il 90 per cento delle tecnologie avanzate: soprattutto a livello quantitativo, l’onda lunga degli obiettivi di Deng e Xi è sempre più forte. Tuttavia, permangono delle sfide, per esempio nei semiconduttori, dove la Cina dipende ancora in larga misura da tecnologie e attrezzature straniere. Le restrizioni imposte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati hanno rallentato i progressi cinesi in questo settore, ma hanno anche stimolato maggiori investimenti e sforzi per sviluppare capacità produttive nazionali. Proprio a partire dalla guerra dei chip, possiamo fare un punto sui principali fronti della guerra tecnologica e sullo stato dell’arte.
Chip e data center
L’industria dei semiconduttori è stata e resta il principale fronte della tensione tra Pechino e Washington. L’obiettivo cinese è da più di dieci anni lo sfruttamento della propria enorme capacità di mercato (essere il centro mondiale dell’assemblaggio di elettronica e il fulcro di numerose industrie a crescente intensità elettronica, come l’automotive) per sviluppare i propri campioni nei vari segmenti dell’industria dei chip, dalla progettazione alla produzione, passando per i macchinari.
Gli ambiziosi obiettivi di autosufficienza sono ancora lontani. Produttori come SMIC sono distanti dal livello della taiwanese TSMC e le aziende di macchinari cinesi non hanno raggiunto i campioni dei Paesi Bassi, del Giappone, degli Stati Uniti. Eppure, la Cina sta compiendo veri progressi nel mercato dei chip di memoria, sfidando la posizione dominante di aziende sudcoreane e statunitensi come Samsung, SK Hynix e Micron. In soli cinque anni, e nonostante le crescenti restrizioni imposte dagli Stati Uniti, la quota cinese del mercato globale dei chip di memoria è passata da quasi zero al 5 per cento. Secondo alcune stime, questa percentuale potrebbe raddoppiare a breve, grazie soprattutto alla crescita di ChangXin Memory Technologies (CXMT).
Il governo cinese ha anche spinto i produttori automobilistici nazionali, tra cui BYD, a utilizzare fino al 25 per cento di chip prodotti localmente per aumentare l’autosufficienza. Questo riorientamento verso la filiera nazionale ha portato a una rapida accelerazione della produzione locale, che continuerà senz’altro. Il grande integratore del nuovo sistema cinese dei semiconduttori è Huawei, l’azienda che ha subito le più pesanti restrizioni degli Stati Uniti ma è tornata al centro della scena, anche con acceleratori su cui la Cina punta per ridurre la dipendenza dai prodotti più avanzati per l’intelligenza artificiale, realizzati da NVIDIA. Su questo tema la Cina continuerà anche a usare l’arma informativa, con una serie di annunci di svolte più o meno verificate, per sorprendere e stordire Washington.
Il fronte dell’intelligenza artificiale, oltre agli aspetti della ricerca applicata, su cui DeepSeek ha mostrato la capacità cinese di innovare lateralmente, riporta alla capacità infrastrutturale e ai data center, che nella guerra tecnologica non sono solo all’interno del territorio cinese ma anche in altri paesi, in particolare la Malesia. ByteDance, la società madre di TikTok, sta espandendo la sua presenza di data center in Malesia con un investimento di oltre 2 miliardi di dollari. Gli ultimi provvedimenti dell’Amministrazione Biden introducono restrizioni specifiche proprio per provare a far fronte all’aggiramento cinese dei divieti americani, avvenuto soprattutto attraverso la Malesia e Singapore. Allo stesso tempo, obiettivo di Washington è recidere il più possibile i legami tra la Cina e altre potenze dei chip, come la Corea del Sud. Nel mentre, i giganti digitali statunitensi guidano gli investimenti in conto capitale sui data center.
• Vantaggio Usa
Energie pulite e automotive
Nelle filiere industriali delle tecnologie pulite, è andato in scena il maggiore successo cinese. La Cina è il più grande esportatore di automobili al mondo e domina gran parte della catena di approvvigionamento solare. Nel settore solare, la Germania aveva inizialmente un vantaggio con tecnologie pionieristiche e un ecosistema industriale ampio, ma le aziende cinesi hanno usato la Germania come il proverbiale taxi, adattando e migliorando le loro tecnologie, oltre a sfruttare i fondi pubblici propri e degli altri. Non si vede una realistica possibilità di scardinare il primato cinese nei pannelli solari.
Nel settore automobilistico, la Cina sta perseguendo un approccio diversificato. C’è stata senz’altro l’acquisizione di tecnologie straniere attraverso joint venture e la pressione sulle aziende straniere affinché stabiliscano centri di ricerca e sviluppo in Cina. Ad esempio, Tesla ha stretto un cruciale accordo col governo di Shanghai per costruire la fabbrica che ha contribuito all’adozione di tecnologie avanzate da parte delle aziende cinesi. Musk ha avuto in cambio una straordinaria capacità produttiva. Nel 2022, Tesla ha annunciato che la sua fabbrica di Shanghai aveva localizzato oltre il 95 per cento della sua catena di approvvigionamento. Nel mentre, la cinese CATL è da tempo il maggiore produttore al mondo di batterie, BYD contende a Tesla il primato mondiale sui veicoli elettrici. Xiaomi, oltre che smartphone, realizza già notevoli automobili.
Gli Stati Uniti rispondono con politiche industriali e misure protezionistiche, avvolte dall’incertezza nell’epoca di Trump. Si pensi all’Inflation Reduction Act ma anche alle norme contro i veicoli connessi cinesi. L’approvazione del sistema Full Self-Driving (FSD) di Tesla in Cina potrebbe essere merce di scambio tra Trump e Xi. A ciò dobbiamo aggiungere il consistente vantaggio cinese nelle materie prime, soprattutto grazie all’investimento sulla filiera della trasformazione e della chimica. La posizione cinese è quindi di solida leadership.
• Vantaggio Cina
Cavi sottomarini
La competizione tra Stati Uniti e Cina si estende anche ai cavi sottomarini, infrastrutture vitali per il flusso globale di dati. A causa delle crescenti tensioni, si prevede un calo significativo nella posa di nuovi cavi sottomarini che collegano la Cina al resto del mondo. Singapore vedrà un numero di cavi più che doppio rispetto a quelli cinesi. Questo cambiamento di rotta è iniziato intorno al 2020, quando gli Stati Uniti hanno adottato la “Clean Network initiative” per escludere le aziende cinesi dai progetti infrastrutturali di telecomunicazione. Poi, il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha esortato Google e Meta a rivedere il piano per la posa di un cavo sottomarino tra Los Angeles e Hong Kong, portando all’esclusione della Cina dal progetto.
In risposta alle pressioni statunitensi, la Cina ha intensificato gli sforzi per diventare autosufficiente. La Cina è in grado di fabbricare tutti i componenti necessari per i cavi di comunicazione sottomarini e non necessita di tecnologie straniere. Sta anche investendo attivamente in progetti di cavi sottomarini attraverso aziende come FiberHome. Nel mentre, la sicurezza dei cavi sottomarini è sempre più in discussione, dall’Europa all’Asia, e aumenteranno investimenti offensivi e difensivi. Il ruolo delle grandi aziende digitali nell’industria dei cavi porta per ora a una leadership degli Stati Uniti, seppur contestata.
• Vantaggio Usa
Spazio
Lo spazio è, fin dagli anni 90, l’ambito tecnologico in cui gli Stati Uniti hanno individuato chiaramente la Cina come avversario, e Pechino ha perseguito un sentiero autonomo con vari progressi, tra cui la missione lunare Chang’e-5, il completamento della stazione spaziale Tiangong, il sistema satellitare Beidou. La Cina ha riorganizzato le sue strutture militari, creando la Forza Aerospaziale nel 2024 per rafforzare le sue capacità di guerra spaziale. Pechino considera le risorse spaziali come infrastrutture critiche per l’intelligence, la comunicazione e le operazioni militari, investe fortemente nelle attività di ricerca e nella diplomazia spaziale con paesi più o meno disallineati rispetto alla sfera statunitense.
A fare la differenza, negli ultimi anni, è stata senz’altro l’ampiezza del successo di SpaceX, che ha reso gli Stati Uniti leader nelle capacità di lancio e nelle costellazioni satellitari. Il primato degli Stati Uniti è pertanto dipendente, in questo caso, dalla presenza di un’azienda e dal suo percorso di successo. Senza SpaceX, la Cina è in vantaggio.
• Vantaggio Usa dipendente da SpaceX
Quantum
La competizione nelle tecnologie quantistiche è intensa, seppur pionieristica. La Cina ha investito molto, con finanziamenti pubblici stimati superiori a 15 miliardi di dollari, più degli Stati Uniti. Pechino ha una posizione di forza nella comunicazione quantistica e ha lanciato il satellite Micius, il primo al mondo in quest’ambito.
Tuttavia, gli Stati Uniti mantengono un vantaggio significativo nel calcolo quantistico, soprattutto nello sviluppo di hardware e algoritmi. Aziende americane come IBM, Google e Rigetti hanno realizzato processori quantistici avanzati che utilizzano qubit. Microsoft ha appena presentato un nuovo chip, Majorana 1, che secondo l’azienda potrebbe aumentare in modo consistente l’affidabilità, rappresentando un “momento transistor” per il quantum. In generale, la Cina sembra avere un vantaggio nella quantità di ricerca prodotta, mentre gli Stati Uniti eccellono nella qualità della ricerca. Le tecnologie di rilevamento quantistico stanno già trovando applicazioni in vari settori industriali, come la sanità e la scienza dei materiali, e si prevede che svolgeranno un ruolo cruciale nel rilevamento di minacce per le applicazioni militari.
• Leadership contestata
Droni e robotica
La Cina è il leader mondiale dei droni commerciali, grazie al successo di DJI, e ha posizioni di rilievo nella robotica per la sorveglianza, per esempio grazie ad aziende come Hikvision. Il governo cinese sostiene fortemente i produttori di robotica avanzata e supporta la costruzione di fabbriche capaci di produrre umanoidi in serie. La Cina rappresenta già oltre la metà di tutte le installazioni di robot a livello mondiale negli ultimi tre anni. Il ruolo della robotica cinese nella raccolta dei dati è stato identificato come rischio di sicurezza nazionale da Jacob Helberg, che ora si occupa di sicurezza economica nell’Amministrazione Trump. Il Congresso degli Stati Uniti ha già adottato misure per limitare l’uso di droni cinesi per scopi di difesa e sta valutando restrizioni simili per i sistemi Lidar. Come parte del National Defense Authorization Act del 2024, il Congresso ha incluso un divieto sui droni cinesi per scopi di difesa.
Unitree, startup cinese nel settore della robotica umanoide, ha ricevuto un’attenzione particolare durante l’incontro di Xi Jinping con gli imprenditori a febbraio, sottolineando l’importanza del settore. Sul lato americano, la robotica catalizza già l’attenzione degli investitori e delle aziende della Silicon Valley, come uno dei prossimi sviluppi concreti dell’intelligenza artificiale. In particolare, NVIDIA e Tesla investono da tempo in questo settore.
• Vantaggio Cina
Come leggere il futuro: cinque fattori
L’analisi dei vari settori in cui Pechino e Washington si sfidano, che potrebbe essere ampliata, sarebbe però incompleta senza considerare i cinque fattori che influiscono su tutto.
Primo: i capitali. Vista la debolezza dei mercati finanziari cinesi, nonostante il recente recupero, e il deflusso di risorse dalla Cina, è un ambito in cui gli Stati Uniti hanno tuttora un vantaggio molto significativo, e questo non va dimenticato. Interesse di Pechino sarà attendere o realizzare altri “momenti DeepSeek”, con pesanti correzioni delle borse statunitensi.
Secondo: l’energia e i materiali. Il segretario al Tesoro Bessent ha detto che gli Stati Uniti non sono in una “corsa alle energie pulite” con la Cina, ma in una corsa energetica e basta, dove l’avversario usa carbone e nucleare. Senza energia, senza elettricità, non c’è intelligenza artificiale, né intelligenza umana. La capacità di infrastrutturazione energetica è stata un grande vantaggio cinese, mentre gli Stati Uniti hanno una chiara leadership di produzione energetica. Sull’acciaio, il rame e il resto che occorre per “fare” tecnologia, il vantaggio è cinese.
Terzo punto: la capacità produttiva, la base industriale. Tema che merita un approfondimento, con la guida di Palmer Luckey, imprenditore e inventore statunitense, da ultimo fondatore di Anduril, startup per le tecnologie della difesa che corre verso una valutazione di 30 miliardi e ha avviato un enorme investimento in Ohio. Nei suoi interventi-fiume nei podcast, Luckey – che ama indossare camicie hawaiiane e infradito – parla spesso del divario della produzione industriale tra Pechino e Washington. Secondo Luckey, la Cina possiede una capacità di costruzione navale 350 volte maggiore rispetto agli Stati Uniti. Luckey ritiene che, in caso di conflitto, gli Stati Uniti potrebbero esaurire rapidamente le munizioni, restando vulnerabili. Usa questi dati per criticare la mentalità che ha portato all’esternalizzazione della produzione, evidenziando come questo abbia reso gli Stati Uniti sempre più dipendenti dalla Cina, anche attraverso i fornitori per gli armamenti. Secondo Luckey, “Trump ha capito che se non produciamo nulla in America, siamo alla mercé di tutti gli altri”. Per Luckey, gli Stati Uniti dovrebbero smettere di essere i “poliziotti del mondo”, non per essere isolati ma per trasformarsi in “fabbrica di armi del mondo”. Senza capacità produttiva interna, ciò non può avvenire. Nella strategia di marketing di Anduril, Luckey emula l’Arsenale della Democrazia della Seconda Guerra Mondiale.
Se l’America produce armi più avanzate, nella capacità produttiva il vantaggio cinese è netto. La Cina non ha mai abbandonato industrie considerate a “basso valore aggiunto” e ha sempre ragionato anche in termini politici: se le supply chain possono essere usate come armi, essere assemblatori o fornitori critici non è mai ininfluente, anche se si guadagna poco. E’ il fattore che in “Geopolitica dell’intelligenza artificiale” chiamo “nuovo vantaggio dell’arretratezza”: in un mondo contestato, i chokepoints industriali sono sempre più di quelli che crediamo, e su di essi conta l’inarrivabile scala della manifatturiera cinese.
Quarto fattore: le alleanze. Gli Stati Uniti vorrebbero tornare a dominare alcune filiere, vorrebbero vedere Apple produrre solo in casa, vorrebbero fare tante cose per sé, ancor più con Trump, in una continua escalation. Il desiderio deve scontrarsi con una realtà dove le alleanze non si possono buttare. Sparare sull’Europa è ormai colpire la Croce Rossa, ma le alleanze con gli europei su alcuni settori, dalla chimica all’aviazione, restano rilevanti. Per non parlare del centro produttivo del mondo, l’Asia orientale e meridionale: gli Stati Uniti non possono vincere, senza coinvolgere l’India, la Corea del Sud, il Giappone, Taiwan, il Vietnam e gli altri paesi ASEAN, in accordi che devono convincere tutti. Una scomoda verità è che gli Stati Uniti non possono nemmeno produrre molto di più sul suolo americano, senza uno sforzo generazionale su forza lavoro e reskilling. La Cina, nel mentre, tesse una rete di alleanze tecnologiche che coinvolgono il Sud America e l’Africa e si nutre e nutrirà dei vuoti di Washington.
Quinto fattore: il talento. Per entrambi, il talento è il vero superpotere. In Cina, per la produzione interna: mai nessun paese ha fatto entrare così tanti milioni di laureati STEM nel mercato del lavoro ogni anno. Negli Stati Uniti, per l’attrazione: il sogno tecnologico americano è alimentato, anche oggi, dai nuovi Jensen Huang o Satya Nadella che decidono di studiare e lavorare nella terra delle opportunità. Pechino punta sempre più al ritorno dagli Stati Uniti delle sue professionalità e a continuare a essere la fabbrica di talenti del mondo, in un’autosufficienza che qui è possibile. Negli Stati Uniti, quando la tecnologia diviene patriottica, come nella tesi di Peter Thiel e dei suoi allievi, come il Ceo di Palantir Alex Karp in “The Technological Republic”, i talenti delle aziende statunitensi sono soldati da arruolare in progetti di sicurezza nazionale. Questa svolta può sia motivare di più, sia alienare chi vuole fare ricerca in uno schema aperto (la maggioranza). E’ un terreno scivoloso e allo stesso tempo decisivo.
L’equilibrio di questi cinque fattori, da qui al 2035, stabilirà il vincitore. Sperando che una deflagrazione su Taiwan non faccia finire tutto, per tutti, un po’ prima.