
(Ansa)
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L'industria bellica europea va forte, ed è una buona notizia
L'indice di settore, lo Stoxx Europe aerospazio e difesa, in crescita dell'8 per cento. Questo dimostra che gli investitori stanno registrando in fretta l'improvviso sgretolarsi del Patto atlantico. "L'Europa sta capendo che non ha più un alleato negli Stati Uniti e che deve diventare autonoma sul piano della sicurezza" dice Stephan Klecha
Alcuni osservatori dei mercati avevano avvertito, di fronte alla grande corsa delle Borse europee, che ci sarebbe stata una “correzione” verso il basso. Ebbene, semmai dovesse arrivare, non sarà a causa dei titoli del settore della difesa, i quali, dopo il week end dello scontro tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca e del summit degli stati europei a Londra per ragionare (anche) della sicurezza del Vecchio Continente, hanno fatto guadagni da record. Guadagni destinati a continuare, a quanto sostengono gli analisti, visto che l’Europa sembra non avere altra scelta che aumentare la spesa militare. Gli investitori hanno ripreso ad acquistare a piene mani le azioni di aziende come l’italiana Leonardo, che ieri è salita del 17 per cento, come la tedesca Rheinmetall (più 20 per cento), la britannica Bae System (più 15 per cento), la francese Thales (più 15 per cento), la svedese Saab (più 11 per cento). Nella sola giornata di lunedì l’indice di settore, lo Stoxx Europe aerospazio e difesa, è cresciuto dell’8 per cento. Era già successo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia innescando un trend al rialzo che, in realtà, non si è mai fermato: Leonardo, dal primo febbraio 2022 ad oggi, ha visto una crescita esponenziale (da 7 ai 44,7 euro), mentre, sempre negli ultimi tre anni, l’indice di settore è passato da 772.51 punti a 2265.26 punti, cioè è triplicato.
Ma l’exploit di lunedì dimostra che gli investitori stanno registrando in fretta l’improvviso sgretolarsi del Patto Atlantico. “Sta accadendo l’inevitabile e cioè che l’Europa sta prendendo consapevolezza di non avere più un alleato negli Stati Uniti e che deve diventare autonoma sul piano della sicurezza – dice al Foglio, Stephan Klecha, a capo della private bank che investe esclusivamente in imprese europee tecnologiche, software e It – E’ possibile che assisteremo anche a un deflusso di capitali da settori come il green verso quello della difesa. Del resto, non possiamo correre il rischio di non difenderci militarmente perché vogliamo l’aria pulita. Sto semplificando, naturalmente, ma è per dire che le priorità stanno cambiando”. Fa una certa impressione sentire il pragmatismo e la rapidità con cui il mondo degli investimenti finanziari sta mettendo a fuoco la nuova situazione. Del resto, il settore della difesa, prima dell’invasione dell’Ucraina, veniva praticamente snobbato dai grandi fondi in nome delle politiche di sostenibilità ambientale e sociale (criteri Esg). Ma non è più così e questo è, come dice Klecha, anche un cambiamento “culturale”, poiché la sicurezza dovrebbe essere percepita come un bene. Ma come si fa? Questa settimana i leader europei si incontreranno per concordare una strategia comune e trovare i modi migliori per finanziare la difesa senza incidere sui budget fiscali: tra le ipotesi sul tappeto c’è anche “una banca per il riarmo”, un soggetto sovranazionale disponibile a prestare soldi ai singoli stati.
Come fa notare un’analisi della banca d’affari Goldman Sachs, in assenza di misure fiscali compensative, l’area euro deve raggiungere prima possibile un obiettivo di spesa per la difesa di almeno il 2,5 per cento (anche se l’amministrazione Trump vorrebbe il 3,5 per cento). Ma il finanziamento della spesa militare attraverso il debito nazionale “creerebbe tensioni con il consolidamento fiscale richiesto dal nuovo quadro europeo”. Non è un caso, che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, abbia proposto di attivare la clausola di salvaguardia che consente agli stati membri di aumentare la spesa senza violare le regole Ue. Tra le soluzioni “sovranazionali” allo studio ci sarebbero, evidenzia Goldman, la possibilità per i singoli stati di prendere a prestito i soldi da istituzioni europee come il Meccanismo di stabilità (il Mes, che, tra l’atro, l’Italia non ha ratificato) e la Banca europea degli investimenti. Insomma, è possibile che l’Europa arrivi ad emettere eurobond per finanziare la difesa militare invece che la crescita economica? “Credo non si possa prescindere dall’aumento della spesa fiscale dei singoli stati prima di arrivare a ragionare di soluzioni comuni – prosegue Klecha – Ogni paese deve farsi carico delle sue responsabilità, facendo capire alle persone che ci sono delle priorità e che gli investimenti nell’industria bellica possono aumentare il grado di innovazione tecnologica oltre che far crescere il pil”. Cioè comprare armi aumenterebbe la ricchezza? “Si, se smettiamo di comprare aerei, missili e carrarmati dagli Stati Uniti, come facciamo in buona parte, e ci approvvigioniamo dall’industria europea. Sarebbe da stupidi uscire dalla Nato, rinunciando all’alleanza Atlantica, continuando a far prosperare con i nostri soldi l’industria bellica americana”.

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