
(Ansa)
L'intervista
Per uscire dal labirinto energetico c'è ancora bisogno del gas
Contro l’ideologismo green, contro le tappe forzate della transizione. Parla Paolo Gallo, amministratore delegato di Italgas. È d'accordo con l'obiettivo, cioè zero emissioni di Co2, ma non con i tempi e gli strumenti, "si vuol procedere a tappe forzate", dice
Quest’anno è cominciato con nuove tensioni sui prezzi dell’energia. Sembrava che tutto fosse tornato sotto controllo dopo lo choc provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, invece così non è. Adesso la scossa arriva da oltre Atlantico, con la minaccia di dazi a tutto campo, le tensioni con l’Europa, la richiesta perentoria di comprare più gas e petrolio dagli Stati Uniti. L’incertezza si diffonde a macchia d’olio anche perché non siamo affatto “fuori dal labirinto”. S’intitola proprio così, Fuori dal labirinto, il libro di Paolo Gallo appena pubblicato dalla Luiss, analisi appassionata di una transizione energetica piena di troppe illusioni.
L’ingegner Gallo è amministratore delegato dell’Italgas, che gestisce buona parte di una rete distributiva ancora molto frammentata tra moltissimi operatori, che ha bisogno di crescere e soprattutto di compiere quel salto tecnologico realizzato dalla società nata a Torino nel 1837, uscita prima dall’Eni poi dalla Snam e riquotata in Borsa nel 2016. Da quell’anno Gallo, 64 anni, torinese, laureato in Ingegneria aeronautica al Politecnico di Torino, una vita a occuparsi di centrali, un percorso che va da Fiat energia all’Edison, dall’Acea alle Grandi Stazioni, quindi con una vasta esperienza nell’industria privata, ha trasformato in profondità l’Italgas che ora distribuisce anche l’acqua, è completamente digitalizzata (la prima in Europa a raggiungere questo traguardo), ha raggiunto un fatturato di un miliardo e 778 milioni l’anno scorso (più 65 per cento dal 2016) con un utile netto di mezzo miliardo e un dividendo cresciuto del 15,3 per cento rispetto al 2023. Gli azionisti sono Cdp reti (26 per cento), Snam (13,5), Lazard (9,8), BlackRock (3,7) e il resto flottante sul mercato. L’Italgas è uscita dai confini e ha acquisito la società DEPA Infrastructrure in Grecia (oggi Enaon). Nello scorso ottobre ha sottoscritto il contratto per l’acquisizione di 2i Rete Gas, secondo operatore italiano posseduto dal fondo F2i controllato da fondazioni bancarie, casse di previdenza, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Ora l’intesa è al vaglio dell’antitrust perché il nuovo gruppo avrebbe più del 50 per cento dell’intera distribuzione italiana.
E’ una scheda sintetica, ma con l’ingegner Gallo, nella sede romana di via Barberini, vogliamo parlare soprattutto del dilemma, anzi del trilemma, come lo chiama, che occorre risolvere per uscire dal labirinto nel quale siamo ancora intrappolati. La transizione energetica impostata dalla prima Commissione von der Leyen si basava sulla convinzione che la certezza nelle forniture di metano avrebbe favorito il passaggio al tutto elettrico alimentato dalle fonti rinnovabili, in gran parte sole e vento, perché il nucleare era in regressione e l’idroelettrico ha raggiunto quasi ovunque il massimo del suo potenziale. Poi l’invasione dell’Ucraina ha cambiato tutto, è venuto a mancare il 40 per cento del gas, quello russo. “Avere una pluralità di fornitori è stata la soluzione messa in pratica dall’ora premier Mario Draghi, grazie alla lungimiranza dell’intero sistema, a cominciare dall’Eni e dalle infrastrutture che debbono essere resilienti e sempre pronte a reagire con efficacia. Ma il trilemma va affrontato in maniera più strutturale e organica”.
Gallo critica l’ideologismo green, è d’accordo con l’obiettivo, cioè zero emissioni di Co2, non con i tempi (“si vuol procedere a tappe forzate”, dice) né con gli strumenti. “E’ una favola e non a lieto fine che ci sia una sola soluzione, bisogna invece usare una pluralità di strumenti”, spiega al Foglio. Ma questo ripensamento non è già in corso? E’ quel che scrive il rapporto Draghi. “Il rapporto sì, ma non il documento predisposto dalla seconda Commissione von der Leyen, ancora troppo segnato da impostazioni ideologiche”. Eppure sembra proprio che i tempi si allungheranno e soprattutto è in corso un gran revival del gas. L’ingegner Gallo non è convinto e precisa: “Quale gas? Non c’è solo quello fossile, c’è il biometano, ci sono il metano sintetico, l’idrogeno, tutti gas rinnovabili con emissioni che tendono a zero”. Un esempio concreto: le caldaie. La loro installazione viene messa al bando dal 2029. “Non sarebbe stato più efficace vietare sistemi di riscaldamento che emettono CO2 lasciando all’industria, alla ricerca, all’innovazione il compito di individuare la soluzione migliore?”.
In sostanza il percorso, per quanto difficile, va condiviso, ma non c’è un’unica strada da battere. Per usare la metafora del libro, il labirinto non ha solo due possibilità, cioè trovare subito la via d’uscita o rimanere intrappolati; ce n’è una terza, forse meno diretta, più lunga, ma che porta comunque fuori. L’ingegnere sciorina un po’ di calcoli. La Commissione prevede un forte aumento delle fonti rinnovabili, una elettrificazione spinta e l’uso di batterie per stoccare l’energia perché le rinnovabili sono discontinue. Proprio le batterie dovrebbero sostituire il gas come fonte di riserva, cioè rimpiazzare tra i 16 e i 18 miliardi di metri cubi stoccati. “Sa quante ce ne vorrebbero? Tante da riempire 200 mila campi di calcio. Le sembra realistico? Senza contare il problema delle materie prime e dei costi di produzione o il loro smaltimento”.
Se ci sarà una nuova distensione con la Russia, tornerà il metano siberiano? L’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi sostiene che non ne avremo bisogno. “Per il momento è così”, conferma Gallo. E il gas liquefatto americano? E’ disponibile e a quale prezzo? A chi conviene? “Conviene agli operatori americani. Oggi costa circa 10 dollari per megawattora, in Italia e in Europa il prezzo s’aggira sui 40 dollari. Un margine di ben quattro volte. Ogni gas c’è e ci sarà nel momento in cui costi e prezzi finali saranno convenienti”. Qual è allora la strada più lunga, ma sicura? “Decarbonizzare le molecole. Oggi le molecole sono fossili, ma ce ne sono altre del tutto rinnovabili. Il REpowerEU, il piano presentato all’indomani dell’invasione russa andava in questo senso, puntava proprio su una pluralità di soluzioni, ma poi è finito in un cassetto e l’approccio ideologico ha spiazzato quello pragmatico. E’ ora di lasciar spazio al principio base di ogni sviluppo in qualsiasi settore, dall’energia all’auto, dalla chimica alla siderurgia: la neutralità tecnologica, l’unica soluzione davvero praticabile per la grande transizione”. Scendendo nel concreto, la fusione nucleare è di là da venire, per le “piccole centrali” ci vorrà tempo, continuando a investire in ricerca e sviluppo, e soprattutto è necessario un ampio accordo che oggi non esiste. L’idrogeno non è ancora competitivo. Il metano sintetico è in fase di avanzata sperimentazione soprattutto in Giappone. Il biometano è già disponibile e non abbiamo bisogno di importarlo. E il consenso, la merce forse oggi più rara almeno in Italia? L’ingegner Gallo non è pessimista. “Bisogna discutere, spiegare bene, applicare la ragion pratica, soprattutto non bisogna fare disinformazione”. Insomma il metano ci darà ancora una mano? “Il gas ci darà una mano. Anzi i gas. E la rete che li distribuisce in modo intelligente. Come la nostra”.

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