(Ansa)

Gli effetti-Trump

Una reazione così veloce e negativa ai dazi americani era difficile da prevedere

Lorenzo Bini Smaghi

Le politiche tariffarie statunitensi hanno scatenato una forte reazione negativa nei mercati finanziari, aumentando l’incertezza e rallentando l’economia, mentre l’Europa ne ha paradossalmente beneficiato attirando più investimenti 

Dopo la reazione negativa dei mercati finanziari, c’è da chiedersi cosa deve succedere affinché Trump cambi idea su alcune decisioni che ha preso recentemente, in particolare le misure restrittive sulle importazioni dai paesi più vicini, come il Canada e il Messico, e quelle annunciate nei confronti dell’Europa e di altri partner commerciali. La Borsa di Wall Street è calata in contemporanea con le notizie sui nuovi dazi, perdendo oltre il 3 per cento in un giorno. Le quotazioni azionarie americane sono oramai tornate sui livelli precedenti alle elezioni del novembre scorso, bruciando così i guadagni ottenuti sin dall’elezione di Trump e dopo l’inaugurazione del 20 gennaio scorso. I titoli tecnologici sono andati ancora peggio. Nvidia, ad esempio, ha perso circa il 20 per cento negli ultimi due mesi. Nello stesso periodo, i tassi d’interesse sui titoli di stato a dieci anni sono calati di circa 40 punti, riflettendo previsioni di crescita più bassa, mentre le aspettative d’inflazione rimangono intorno al 3 per cento e non danno segni di discesa. Gli ultimi indicatori sulla fiducia dei consumatori destano preoccupazione. Il mercato sconta ora una maggiore probabilità che la Federal Reserve tagli i tassi d’interesse almeno due volte nei prossimi mesi, per sostenere l’economia in fase di rallentamento. 


Una reazione così veloce e così negativa era difficile da prevedere, anche da chi denunciava da tempo la stupidaggine delle misure tariffarie adottate dalla nuova Amministrazione, che in fin dei conti danneggiano soprattutto l’economia statunitense. Eppure, il presidente non sembra battere ciglio. Di fronte a tutto il Congresso ha ribadito che intende andare avanti, nonostante “qualche lieve disturbo”. La motivazione sottostante è puramente ideologica: “I dazi non proteggono solo i posti di lavoro degli americani, ma anche l’anima del nostro paese”, ha affermato. Sembra esserci una totale dissonanza tra l’evidenza empirica, almeno nel modo in cui viene interpretata dai mercati finanziari, e le convinzioni del presidente. Peraltro, le nuove misure annunciate l’altra sera, riguardo ai tagli fiscali, la de-regolamentazione e gli ingenti investimenti annunciati nel settore tecnologico, che in teoria dovrebbero essere favorevoli alle imprese, non sono riusciti  a invertire la tendenza. Prevale, almeno finora, l’effetto negativo prodotto dagli annunci a frequenza elevata ma contraddittori, che non fanno altro che creare incertezza. Il tanto lodato pragmatismo del nuovo presidente sembra essere rimasto nel cassetto.

Desta altrettanta sorpresa la reazione in senso opposto dei mercati riguardo all’economia europea. Le quotazioni azionarie sono in crescita dall’inizio dell’anno, in media di oltre il 10 per cento. L’euro si è ripreso, dopo il calo successivo all’elezione di Trump. I tassi d’interesse a lungo termine sono aumentati, per effetto delle aspettative di maggior crescita, in particolare in Germania dopo la vittoria della Cdu di Friedrich Merz e la prospettiva di un governo di grande coalizione. In questo contesto, è ancor più interessante che la risalita dei tassi a lunga scadenza tedeschi non abbia avuto alcun impatto negativo sugli spread all’interno dell’area dell’euro. In sintesi, la maggiore avversione al rischio provocata dalle politiche di Trump non si è trasferita all’Europa, dove si registra invece un afflusso favorevole, alimentato dalla prospettiva di politiche più coese e più reattive. 

Si tratta per certi versi di una novità. In passato, i mercati finanziari reagivano alle tensioni geopolitiche e a choc imprevisti, anche originati negli Stati Uniti, riportando i capitali oltre Atlantico, rafforzando il dollaro. Questa volta, invece, i mercati sembrano considerare l’Europa più sicura per i loro investimenti. Ciò è sicuramente dovuto, almeno in parte, al ritardo di performance accumulato negli ultimi anni dal continente, in particolare nel segmento azionario, che era eccessivo e si sta ora riducendo. Non bisogna tuttavia sottostimare l’effetto negativo derivante dall’incertezza che la nuova Amministrazione sta proiettando sull’assetto istituzionale sottostante ai mercati finanziari. Ad esempio, la decisione di includere alcune criptovalute tra le riserve ufficiali, detenute dal Tesoro americano, ha destato molte perplessità. Di fatto, ciò equivale a dare una garanzia pubblica, quella della Banca centrale, a pseudomonete emesse senza alcuna trasparenza. Ciò non solo mette a rischio l’indipendenza di quest’ultima. Alimenta il sospetto che l’Amministrazione sia catturata da interessi privati che possono mettere a repentaglio l’integrità del sistema finanziario basato sul dollaro.

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