
Difesa e hi-tech tra le due sponde dell'Atlantico. E il vecchio caso Opel
L’Europa si vuole emancipare dagli Stati Uniti. Big Tech e industria della difesa sotto esame, le strategie di “multi-domesticità” diventano cruciali per salvare il business senza perdere fiducia
I colossi tech e della difesa americani sono alle prese con un cruciale dilemma: come salvare il fiorente business con il resto dell’occidente senza mettere a repentaglio i rapporti con l’Amministrazione Trump? La premessa è nota: le élite europee si sono decise ad affrancarsi dai grandi nomi a stelle e strisce, nel timore che Trump possa ordinare loro di “staccare la spina”. I caccia F-35 sono forse l’esempio più diffuso di questo riflesso, ma non ne esauriscono la casistica. A chiedere l’esclusione degli americani dalla spesa europea per il riarmo sono gli stessi politici e giornalisti che erano convinti atlantisti e vedevano nell’acquisto degli F-35 una formula efficace ma dispendiosa per puntellare i rapporti con l’altra sponda dell’Atlantico.
Fino a ieri, erano in molti a considerare insensato avere più programmi di super-caccia e a esprimere una preferenza per il programma americano. Oggi, invece, è quasi inevitabile che soluzioni alternative a quella americana vengano privilegiate. Ne sa qualcosa anche l’Italia, che è al fianco di inglesi e giapponesi nel GCAP, la piattaforma aerea di sesta generazione con un vasto sistema informativo integrato con sistemi di arma robotizzati. Al contempo, non è realistico pensare che il divorzio tra Usa ed Europa si consumi in tempi stretti e su una vasta gamma di prodotti e servizi.
Con le debite differenze, lo stesso problema si pone per le infrastrutture digitali, che vedono una forte dipendenza dei paesi Ue rispetto ai big americani (Google, Microsoft, ecc.) ma scontano una drastica perdita di capitale fiduciario tra Europa e Stati Uniti.
È la stessa business community americana a cogliere i dubbi che assalgono gli europei: come potrebbero i colossi tech americani sottrarsi alle richieste di una Casa Bianca decisa a esercitare pressione sulla Ue? È evidente infatti che Trump consideri queste aziende come parte integrante del potere della Casa Bianca. Dal punto di vista europeo, il gioco di Trump si è fatto davvero molto scoperto e presenta crescenti analogie con i “doveri patriottici” a cui sono chiamate le aziende cinesi e russe, senza una reale soluzione di continuità tra stato e privato.
Tra gli strateghi legali e gli esperti di rischio politico che sono al lavoro sul dossier c’è forte attenzione per le cosiddette strategie di “multi-domesticità”. Strategie, cioè, che prevedono una forte autonomia operativa in capo alle unità nei vari paesi. Queste soluzioni non riflettono più il “mondo piatto” di Thomas Friedman, in cui si possono fare affari con chiunque sempre, bensì il paradigma di una economia globale “a blocchi”, descritto nel 1995 da Kenichi Ohmae nel suo The End of the Nation State: The Rise of Regional Economies.
Per gli industriali americani non si tratterebbe peraltro di una novità assoluta: gli storici economici hanno studiato a fondo il caso della General Motors, che continuò a fare business nella Germania già nazista attraverso la propria partecipata Opel acquistata nel 1929. Fino a poco prima della Seconda guerra mondiale, Opel era il maggiore produttore automobilistico tedesco e deteneva il singolare status di fornitore tanto della macchina bellica americana, quanto di quella nazista.
Sta di fatto che quello della multi-domesticità resta ancora oggi uno schema utilizzato per continuare a operare in Cina e in Russia. Per inciso: non è del tutto chiaro se garantisca gli americani rispetto al rischio di “contagio” cinese, o viceversa. Un caso recente è quello di Sequoia, il fondo di venture capital americano. Sequoia ha segregato le sue attività cinesi, non limitandosi solo a una riorganizzazione legale ma mettendo in atto una compartimentazione contabile e informatica. Nel caso del Big Tech quest’ultimo aspetto terrà banco a Bruxelles e nelle cancellerie europee. E l’Italia, le cui infrastrutture digitali si sono fatte molto “amerikane” negli ultimi tempi, sarà forse il laboratorio più interessante di questa fase.
Francesco Galietti è fondatore di Policy Sonar