
I dati
La produzione industriale va meglio ma non ci sono ragioni per esultare
Rimbalzo temporaneo o vera ripresa? I dati dell'Istat sono così buoni che vanno maneggiati con cautela. Tra crisi dell’automotive, incertezze globali e investimenti bloccati, il futuro rimane incerto
Nessuna illusione, per carità. Ma il cronista non può non annotare che i dati della produzione industriale di gennaio resi noti ieri dall’Istat sono sorprendenti: +3,2 per cento mese su mese e contrazione del calo anno su anno a -0,6 per cento. Il miglior risultato (relativo) degli ultimi due anni. L’Istat ha corretto anche il dato della produzione industriale di dicembre, mese horribilis, riportandolo a -2,7 per cento dal 3,1 reso noto a suo tempo. Insomma il riscontro dell’ultimo mese del 2024 era così brutto che andava preso con le pinze e oggi possiamo dire l’opposto, ovvero che il dato di ieri è così buono che a sua volta va maneggiato con cautela. La spiegazione che danno statistici ed economisti è che dicembre è stato un mese di ponti, molte aziende in difficoltà hanno allungato le chiusure e le procedure tecniche di destagionalizzazione faticano a fotografare questi movimenti. Il rimbalzo di gennaio si spiega anche così e perciò vale quanto detto prima: non festeggiate. Non pensate che la produzione industriale abbia ripreso a veleggiare, il vero polso dell’attività produttiva è difficile da catturare ma comunque è altra cosa. Lo dimostrano le indagini sulla fiducia delle imprese che segnalano piccolissimi miglioramenti solo per la manifattura e non autorizzano altre conclusioni.
I caveat non finiscono qui. Infatti anche i pur buoni dati di gennaio ci dicono che la crisi dell’automotive e dei mezzi di trasporto segna ancora un -13,1 per cento tendenziale di calo della produzione come quella del tessile-abbigliamento si sia attestata a -12,3 per cento. I settori in maggiore difficoltà lo rimangono ampiamente e questa è già di per sé una zavorra difficile da eliminare. E’ vero che al cospetto di chi scende c’è anche chi sale (il settore farmaceutico con +21,7 per cento anno su anno) ma i dati sono spesso volatili e influenzati dai trasferimenti dagli hub commerciali dei vari Paesi. Il commercio mondiale, dal canto suo, non fornisce grandi prospettive di ottimismo mentre i consumi interni di beni non sono certo vigorosi, per cui l’attività industriale resta fiacca e qualche analista si spinge addirittura a pronosticare per febbraio ‘25 un dato della produzione industriale ancora negativo. Su tutto quanto detto finora pende poi la spada di Damocle delle guerre commerciali ampiamente annunciate a squarciagola da Donald Trump. L’effetto che finora hanno ottenuto, stop and go inclusi, è stato quello di aumentare i margini di incertezza, di spingere i decisori di impresa a procastinare le scelte e a fermare gli investimenti. Anche perché non saprebbero nemmeno dove sia meglio localizzarli. Le cronache del commercio internazionale riferiscono così di piccole strategie messe in atto per convivere con l’incertezza: c’è chi accumula scorte, chi porta negli Usa quante più merci possibili prima che suoni la campana, i cinesi che noleggiano capannoni per i pacchi piccoli esenti da dazi e via di questo passo. Ma passata qualche settimana le imprese vorranno capire come orientarsi e che tipo di scelte fare. L’unica stella da seguire oggi sembrano essere gli investimenti tedeschi sulla difesa (più concreti di quelli di Bruxelles) e molte aziende italiane puntano ad entrare nelle nuove filiere di fornitura riconvertendo le loro produzioni meccaniche.
I dati di ieri comunque hanno spinto gli analisti a ritoccare anche se di pochissimo le previsioni sul Pil italiano del primo trimestre ‘25 da +0,1 per cento a +0,2-0,3 e a stimare che l’attività dell’intero anno chiuda comunque sotto il +1 per cento. Come detto i consumi privati mancano all’appello ma è in atto una ripresa del potere d’acquisto (retribuzioni contrattuali a +3,1 per cento) che dovrebbe essere confermata anche per il 2025. Aspettando l’esito di due grandi contratti dell’industria come il metalmeccanico (le cui prospettive per ora sono però in un vicolo cieco) e quello dei chimici, che chiedono alle controparti 305 euro di aumento. Se l’incertezza spinge le imprese ad attendere, sui consumatori ha l’effetto di indurli ad aumentare gli accantonamenti e infatti il tasso medio di risparmio aumenta gradualmente. C’è ovviamente la grande incognita degli investimenti privati e la delusione degli operatori per come sono state disegnate le norme di Transizione 5.0. Ad oggi le prenotazioni sul portale Gse hanno finalmente superato quota 500 milioni ma siamo sempre sotto il 10 per cento della dotazione finanziaria del provvedimento. Un autogoal. Nel novero delle occasioni perdute resta da citare il Pnrr: sono state ricevute il 60 per cento delle risorse e la spesa effettiva finora è pari solo a circa un terzo del totale. Anche se risulta assegnato l’85 per cento dei fondi ai soggetti attuatori. Sullo sfondo dei dati della produzione industriale e delle previsioni sul Pil resta il nodo dei rapporti tra governo e imprese. Il malumore della base confindustriale è ampiamente percepibile ma all’inquietudine fa da riscontro la desolante mancanza di un’agenda.


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