
(Ansa)
Le stime
L'industria punita: il governo ha tolto 15 miliardi alle imprese
Non solo i dazi e il calo della produzione. Sul tessuto industriale dell'Italia pesano anche le misure contenute nelle ultime due leggi di Bilancio. Una rassegna
Le ultime notizie sulla produzione industriale fanno pensare che forse siamo al temine di 24 mesi di calo consecutivi. Speriamo davvero. Intanto si può fare un bilancio delle misure del governo in questi due anni a favore o, meglio, a sfavore, delle imprese con più di dieci dipendenti. Nel corso di questi anni sono state sottratte alle imprese circa 15 miliardi di euro e ne sono stati restituite 6 o 7, ma con misure che non stanno funzionano. Un bilancio severamente negativo che, combinato con la crisi del settore automotive e dell’acciaio, e di fronte alla minaccia dei dazi di Trump, rischia di mettere a repentaglio il modello di crescita degli ultimi vent’anni, basato su circa 9 mila aziende esportatrici dall’ottima produttività e dai grandi risultati in termini di export. Le aziende italiane – soprattutto quelle esportatrici della manifattura – hanno fatto benissimo negli ultimi anni, eppure hanno finanziato entrambe le due ultime leggi di Bilancio attraverso la cancellazione delle misure a loro favore. Nel 2023 è stato cancellato l’Ace, un incentivo che esiste da molti anni per favorire gli aumenti di capitale. Così, dalla relazione tecnica del provvedimento, sono stati sottratti circa 5 miliardi di euro ogni anno alle imprese di dimensioni medio/grandi. L’Istat stima che l’Ace riguardava il 25 per cento delle imprese. Esisteva dal 2011, e forse andava cambiato, ma è stato semplicemente abolito.
I fondi per l’automotive stanziati dal governo Draghi sono stati ridotti di 4,6 miliardi nel 2024: sono rimasti circa 200 milioni all’anno. E’ chiaro che anche questa misura andava riconsiderata, ma sottrarre 4,6 miliardi non significa solo penalizzare gli acquisti di automobili ma tutta la filiera. Infine, bisogna aggiungere la fine della decontribuzione Sud che garantiva uno sconto sui contributi previdenziali dovuti dalle imprese su tutti i contratti di lavoro, nuovi e vecchi, nelle regioni meridionali. La decontribuzione Sud era stata ammessa dalla Commissione europea, vista l’emergenza Covid e poi la guerra in Ucraina, ma dal 1 gennaio 2025 è considerata aiuto di stato e quindi è stata sostituita con una misura dedicata solo alle pmi e solo per i neo assunti. Il costo, tutto teorico, perché è ben diverso finanziare lo stock dei lavoratori e invece limitarsi ai neo assunti, è di 1,5 miliardi all’anno. Certamente questa misura doveva avere un termine, perché non era un incentivo ma una misura indiscriminata, resta il fatto che comunque le aziende medio/grandi del Sud perdono ben 4 miliardi di sconti contributivi nel solo 2025.
Dall’altro lato, alle imprese arrivano un po’ più di 6 miliardi per industria 5.0. Si tratta di un generoso credito di imposta (fino al 45 per cento) per investimenti industriali materiali e immateriali che consentano di ottenere una riduzione dei consumi energetici. Dopo il lungo ritardo dei decreti attuativi, nulla sono valsi gli sforzi per rendere appetibile la misura. Per il 2024, la copertura di Industria 5.0 è venuta in gran parte dal taglio di progetti dei comuni nel Pnrr. Peccato che la nuova norma ha creato incertezza nelle imprese e ha tirato solo poche centinaia di milioni, tanto è vero che verrà tagliata nella nuova revisione del Pnrr. Si dice che le risorse del Pnrr verranno redirette su altre misure per le imprese. Ma invece di fare cose che non funzionano, sarebbe meglio rinunciare ai soldi del Pnrr, ricordiamoci che comunque sono debito pubblico. Cos’altro hanno ottenuto le imprese? Una proroga della super-deduzione del 120 per cento per le assunzioni. Questa nuova misura è finanziata per poco più di 1 miliardo all’anno. Molti però si chiedono se sia il caso di finanziare le assunzioni in un momento in cui il mercato del lavoro va così bene. In questa situazione si rischia di avvantaggiare aziende che avrebbero comunque assunto. Poi c’è un finanziamento della Zes unica (Zona economica speciale) per gli incentivi agli investimenti nel mezzogiorno per 2,2 miliardi: speriamo che almeno quella vada bene perché ha cancellato otto Zes locali e non è una Zes visto che si estende a tutto il Mezzogiorno e non riserva benefici amministrativi e economici ad aree geograficamente delimitate.
Poi c’è l’Ires premiale su cui Confindustria ha insistito molto, ma secondo il focus dell’Upbs “richiede una combinazione di accantonamenti, investimenti e crescita occupazionale che potrebbe essere difficile da soddisfare per molte aziende”. La stima è di 18 mila imprese (solo quelle in utile nel 2024) che potranno ridurre l’Ires dal 24 al 20 per cento per il solo anno 2025. E’ sempre difficile fare un bilancio complessivo, perché i fondi sono allocati in tante misure diverse e in tanti provvedimenti diversi su anni diversi. Ma non credo di sbagliare molto nel sostenere che negli ultimi due anni sono stati sottratti alle imprese almeno 15 miliardi di euro e ne sono stati restituiti meno delle metà, la cui utilità è ancora tutta da provare.