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Contro il protezionismo

L'Europa ha il dovere di reagire ai dazi imposti da Trump

Lorenzo Bini Smaghi

Gli Stati Uniti sono molto più dipendenti dalle importazioni dal Vecchio Continente di quanto non sia il contrario, soprattutto nei settori considerati strategici. L’Ue ha a disposizione tutti gli strumenti per riportare la nuova Amministrazione alla ragione

Come reagire alla guerra dei dazi dichiarata dall’Amministrazione Trump, sotto forma di annunci, minacce e in alcuni casi misure concrete? La scelta è tra sedersi al tavolo negoziale solo dopo aver risposto colpo su colpo – come ha fatto ad esempio il Canadaoppure se si deve avere un tono più conciliante e cercare di minimizzare i danni. A favore di questa seconda opzione sono stati avanzati vari argomenti. 

 

              

 

Il primo è che in fin dei conti Trump ha ragione, perché i dazi cercano di riequilibrare il passivo registrato nell’interscambio tra gli Stati Uniti e l’Europa. Tuttavia, guardando attentamente ai dati, se gli Stati Uniti registrano un passivo con l’Europa nel commercio dei beni, hanno invece un attivo in quello dei servizi. Settore nel quale i grandi operatori americani godono di una posizione dominante in Europa. 

Il secondo argomento è che l’Europa impone già dei dazi più elevati nei confronti dell’America, che vanno riequilibrati. I dati mostrano, al contrario, che non c’è una differenza sostanziale tra le barriere imposte tra le due sponde dell’Atlantico. Quelle europee riguardano peraltro alcuni prodotti alimentari americani, geneticamente modificati e trattati con fertilizzanti non accettabili in Europa

Il terzo argomento, suggerito da alcuni accademici, è che invece di rispondere ai dazi americani con nuovi dazi sarebbe meglio far deprezzare l’euro per recuperare parte della competitività persa. Al di là delle difficoltà pratiche, tale soluzione sarebbe utile solo nel caso in cui i dazi iniziali fossero uguali per tutti i prodotti, il che non è il caso. Altrimenti, una svalutazione dell’euro produrrebbe effetti fortemente distorsivi e indesiderati sull’economia europea, a cominciare dall’aumento del prezzo delle materie prime importate. Si aprirebbe inoltre un nuovo fronte con l’Amministrazione americana, che vuole indebolire il dollaro, come indicato nel cosiddetto “Accordo di Mar-a-Lago”. Si scatenerebbe una guerra valutaria, che non sarebbe certo più vantaggiosa di quella sui dazi, almeno per l’Europa.

Il quarto argomento è che non è possibile per l’Europa vincere una guerra commerciale contro la principale economia mondiale. In realtà, l’Unione europea ha a disposizione tutti gli strumenti per riportare la nuova Amministrazione alla ragione. Strumenti che può usare rapidamente, anche in virtù della competenza esclusiva che i Trattati attribuiscono alla Commissione europea. Nonostante l’Europa sia più aperta degli Stati Uniti al commercio internazionale, quello che conta per l’efficacia delle misure restrittive è la diversificazione geografica e merceologica del proprio interscambio.

Secondo uno studio recente del centro ricerche Cepii, gli Stati Uniti sono molto più dipendenti dalle importazioni provenienti dall’Europa di quanto non lo sia quest’ultima dalle importazioni americane, soprattutto nei settori considerati strategici. Ciò consente all’Europa di usare i dazi nei confronti dei produttori statunitensi in modo molto più mirato ed efficace. L’esempio classico è quello dell’Harley Davidson, per cui l’Europa, essa stessa produttrice di motociclette, è il principale mercato estero di sbocco della iconica marca statunitense. L’Unione dispone anche di misure antidumping che applica spesso ai produttori americani che vendono sottocosto per cercare di spiazzare le aziende europee. Infine, l’Europa si è dotata di uno strumento “anti-coercizione”, già utilizzato nei confronti della Cina, per dissuadere altri paesi dal prendere misure restrittive, come i dazi, con un secondo fine, quello di ottenere concessioni in altri settori, come l’apertura del mercato europeo alle aziende tecnologiche americane. 

Il vero problema nasce dal fatto che la nuova Amministrazione americana non accetta ciò che è ben noto agli economisti, ossia che il disavanzo commerciale americano non è dovuto ai dazi, né si risolve con i dazi, ma nasce dalla forte crescita della domanda interna, alimentata dal credito facile e dall’indebitamento  pubblico. I dazi americani sono un errore, un errore dannoso soprattutto per gli Stati Uniti. L’unica soluzione a questo errore è quella di fare marcia indietro, come è già successo in passato. L’Europa commetterebbe un errore altrettanto grave se non reagisse. Nel pieno rispetto delle regole vigenti del commercio internazionale. 

I dazi adottati dall’Amministrazione Trump stanno portando gli Stati Uniti fuori dal sistema di regole che ha sostenuto le relazioni internazionali negli ultimi ottanta anni. Ma gli Stati Uniti rappresentano solo il 15 per cento del commercio mondiale. Se il restante 85 per cento si organizzasse, per difendere il sistema multilaterale e aprire nuovi mercati, la nuova guerra commerciale si rivelerà, per chi l’ha scatenata, un clamoroso autogol.

 

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