Foto LaPresse

bollette e dintorni

Ambiente e caro energia: il governo apra il dossier e porti la battaglia in Europa

Carlo Stagnaro

Meloni dovrebbe cercare una convergenza con la Germania di Friedrich Merz e con le posizioni già espresse dal Partito popolare europeo. La Commissione ha fatto alcuni passi verso la semplificazione degli oneri ambientali, ma ci vuole più ambizione e coraggio

Nelle scorse settimane si è svolto uno scontro inusuale, violento e alla luce del sole tra due componenti di Confindustria: da un lato, il tavolo della domanda, che rappresenta i grandi consumatori di energia; dall’altro, i maggiori produttori di energia elettrica raccolti nell’associazione Elettricità futura. Ciascuna delle parti ha le sue ragioni: ma vista la posta in ballo, cioè la sopravvivenza dell’industria manifatturiera, il governo dovrebbe aprire con serietà ed equilibrio questo dossier. E’ infatti vero che i prezzi dell’energia in Europa sono ben maggiori rispetto al resto del mondo, e in Italia rispetto al resto d’Europa

 

Non ha aiutato a trovare una soluzione il modo in cui la questione è stata affrontata, cioè giocando sul significato ambiguo e atecnico del termine “disaccoppiamento”, a cui peraltro hanno attinto a piene mani anche la premier Giorgia Meloni, la leader del Pd Elly Schlein e lo stesso Mario Draghi, contribuendo a intorbidire le acque. Quando gli industriali invocano il disaccoppiamento, chiedono in realtà una cosa diversa e più circoscritta: misure per mitigare gli effetti del caro gas (e dei costi della CO2) che gonfiano il prezzo dell’elettricità. Ma Elettricità futura ha buon gioco a sottolineare che non c’è nulla di sconvolgente nel fatto che, nel mercato elettrico come in ogni altro, i prezzi di equilibrio riflettano i costi marginali (che dipendono appunto da gas e CO2). Il punto è che spostare il dibattito sulle regole di mercato manca l’obiettivo: del resto, le regole sono le stesse in tutta Europa, ma in Italia producono prezzi molto più alti. Il motivo dunque non sta nel funzionamento del mercato ma nelle condizioni concrete di domanda e offerta: un mix di generazione dell’energia elettrica squilibrato verso il gas (anche perché il nostro paese è lungo, stretto, montuoso e poco ventoso) e un eccesso di oneri e tasse.

 

Non solo: hanno ragione gli industriali a lamentare che, negli ultimi anni, si sono messe in fila diverse scelte che hanno di fatto favorito i produttori di energia elettrica, a scapito dei consumatori. Per fare solo alcuni esempi: i sussidi alle fonti rinnovabili, agli impianti tradizionali (il cosiddetto capacity market), alle batterie (il Macse), e da ultimo i rinnovi senza gara delle concessioni per la distribuzione elettrica e, forse, per le grandi derivazioni idroelettriche. Comprensibile, quindi, che gli utilizzatori di energia chiedano attenzione: le misure esistenti (per esempio gli sgravi per gli energivori) non sono comparabili a quelle di cui beneficiano i loro concorrenti francesi, tedeschi e spagnoli, che oltretutto partono da una base di prezzi strutturalmente più bassi.

 

Il problema ha dunque una dimensione nazionale e una europea. A livello nazionale, è importante intervenire soprattutto al fine di tamponare l’emergenza: e in questo senso la leva sta soprattutto nel bilancio pubblico, oltre che nella predisposizione di strumenti finalizzati a sostenere l’industria in altri modi (come la gas release per aumentare le produzioni nazionali di gas, dando accesso agli industriali alle risorse aggiuntive a costo ridotto). Allo stesso modo, il modello della cosiddetta energy release può essere sviluppato in forma meno distorsiva, sostenendo gli investimenti delle imprese nelle fonti rinnovabili o la conclusione di contratti di lungo termine per la fornitura di energia decarbonizzata (incluso il nucleare). Invece di costruire un’architettura barocca e basata sull’intermediazione pubblica, però, sarebbe meglio focalizzarsi su incentivi impliciti (come forme di garanzia contro il rischio di controparte) oppure su compensazioni dei costi indiretti della CO2 finanziate col gettito delle aste, come in Germania. E dove ci sono delle rendite, occorre ragionare su come eroderle, con l’obiettivo di destinare il risultato a gruppi di consumatori particolarmente bisognosi, come l’industria o le famiglie a basso reddito.

 

Ma è soprattutto in Europa che il governo dovrebbe portare la propria battaglia, cercando una convergenza con la Germania di Friedrich Merz e con le posizioni già espresse dal Partito popolare europeo. La Commissione ha fatto alcuni passi verso la semplificazione degli oneri ambientali, ma ci vuole più ambizione e coraggio. Per esempio, le direttive sulla reportistica di sostenibilità non andrebbero semplicemente limitate alle grandi imprese, ma ripensate radicalmente, perché impongono oneri di dubbia utilità. Allo stesso modo, fermo restando l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55 per cento, andrebbero eliminati gli obiettivi collaterali, che di fatto vincolano il modo in cui tale target va conseguito e non tengono conto delle specificità nazionali: che senso ha pretendere lo stesso miglioramento dell’efficienza energetica dai paesi più efficienti (come l’Italia) e da quelli più spreconi? O imporre la medesima percentuale di rinnovabili nei paesi più dotati di risorse (come l’eolico nel mare del Nord o il fotovoltaico nel deserto spagnolo) e in quelli che non hanno le stesse caratteristiche? Ogni stato membro dovrebbe essere libero di dosare secondo le proprie caratteristiche le tecnologie per la decarbonizzazione, perché l’unico parametro climaticamente rilevante sono le emissioni. Rinnovabili, efficienza, idrogeno, nucleare e via discorrendo sono strumenti – che dovrebbero essere tutti trattati alla medesima stregua – e non fini in sé.

 

Le difficoltà dell’industria italiana hanno radici profonde ma rischiano oggi di deflagrare. Il governo dovrebbe tamponare l’emergenza, ma non si può pensare di eluderne le cause reali. Non bisogna disaccoppiare i prezzi dell’elettricità da quelli del gas, ma le politiche ambientali da rigidità ideologiche, rendite di posizione e sussidi immotivati.