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Transizione bluff. Tutti i paradossi del piano per azzerare le emissioni

Antonio Pascale

La revisione completa delle fondamenta energetiche dell’economia globale costerebbe 115 trilioni di dollari in soli 25 anni. La fame di energia che faremo pagare ai più deboli 

Nel bel libro di Simone Lenzi, “Malcomune” (Linkiesta Books), un memoir dove racconta la sua avventura politica da assessore alla Cultura di una città di provincia, c’è un elenco di frasi che è stato costretto a pronunciare: “La resilienza del territorio, la città pubblica sostenibile, la sostenibilità della città pubblica resiliente, le eccellenze sostenibili del territorio resiliente”. Sono parole molto di moda. Rappresentano o dovrebbero rappresentare l’atteso cambio di passo, cioè, dal vecchio mondo, basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse, al nuovo mondo, concentrato sulla sostenibilità e dunque sulla transizione energetica.

Le parole, si sa, sono importanti, ma diventano pericolose quando il concetto non è agganciato a un ragionamento logico. In quel caso le parole rischiano, come diceva il linguista svizzero Uwe Pörksen, di diventare parole “amebe”, che con l’uso eccessivo hanno perso i contorni, il significato originario. Finisce che assorbono tutto senza restituire nulla:  servono solo a darsi un tono, annunciare un programma elettorale. E non certo per analizzare lo stato dell’arte di un sistema. Ecco, per quanto riguarda l’atteso nonché indispensabile cambio di passo energetico, siamo prigionieri delle parole amebe. Detto meglio: c’è la seria possibilità che sulla transizione energetica non ci stiamo capendo niente. 

Per esempio, se partecipi a un dibattito con ambientalisti può capitare di sentire una dichiarazione siffatta: nel 2024 la produzione globale di energia eolica e solare ha raggiunto livelli record. Ancora: negli ultimi 15 anni, l’energia eolica e solare sono cresciute da zero al 15 percento della produzione di elettricità mondiale. La conclusione è che la transizione energetica è a buon punto. Vero? Falso? Verissimo! La produzione globale di energia ottenuta da eolico e fotovoltaico è davvero cresciuta.

Quindi il dibattito si conclude con una serie di dichiarazioni ottimistiche, accompagnate da frasi di supporto, sostenibilità, resilienza ecc. e sottolineando la bontà di alcune fonti energetiche: solare sì, nucleare no. Ma purtroppo c’è una ma. Contemporaneamente al record sopra sbandierato, ne va segnalato un altro: nel 2024 la quantità di energia derivata da petrolio e carbone ha raggiunto i massimi storici. In altre parole – ci fa notare Daniel Yergin, uno dei più stimati analisti mondiali della politica e dell’economia dell’industria energetica – ciò a cui stiamo assistendo non è tanto una transizione energetica quanto un’aggiunta energetica. Invece di sostituire le fonti energetiche convenzionali, gli stiamo aggiungendo le energie rinnovabili. Come dire, il mondo è diventato parecchio energivoro, quindi per soddisfare le esigenze di tutti (siamo 8 miliardi di persone, ognuno con l’idea fissa di realizzare i propri sogni, sogni che hanno sia un costo psicologico sia un costo energetico), la torta energetica è aumentata di dimensione. Mi si perdoni l’elementare metafora, è successo che alla quota fissa di pan di spagna (energia fossile) è stata aggiunta una quota di panna (energia rinnovabili).  Del resto anche le ripetute e inascoltate analisi di Vaclav Smil sottolineano questo aspetto. Cioè: la quota di idrocarburi nel mix energetico primario globale non si è quasi mossa, era l’85 percento nel 1990 e oggi è l’80 percento. 

 

Nel 2024, insieme al record di rinnovabili, la quantità consumata di energia derivata da petrolio e carbone ha raggiunto i massimi storici

               


Poi, non vogliamo fare le pulci al solare e all’eolico, però anche qui, andrebbe calcolata quanta energia fossile è necessaria per realizzare il cemento e l’acciaio e la plastica necessari per ottenere una pala eolica. Quanto rame bisogna estrarre per realizzare la bobina senza la quale non si può convertire l’energia rotatoria delle pale in energia elettrica. Senza parlare poi del silicio purissimo che bisogna estrarre per rendere efficiente un pannello solare. Insomma, non ci vogliamo fissare su queste quisquiglie, ma capite bene che se in 24 anni le fonti fossili sono scese solo di un misero 5 per cento, è davvero impossibile raggiungere Net Zero entro il 2050

Dobbiamo constatare la dura e infame realtà: l’Agenzia internazionale per l’energia, nel 2021, ha previsto che, affinché il mondo raggiunga gli obiettivi del 2050, le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire da 33,9 gigatonnellate a 21,2 gigatonnellate nel 2030. Ebbene, la dura realtà è la seguente: finora le emissioni sono andate nella direzione opposta, raggiungendo 37,4 gigatonnellate nel 2023. Bene, ditemi voi, se questo è l’andazzo e i dati stanno lì a disposizione di tutti, per quale motivo o grazie a quella misteriosa fonte energetica dovremmo ottenere un calo del 40 per cento in soli sette anni? O hanno ragione quelli che credono alle navi extraterrestri spinte da energie sconosciute e che prima o poi verranno a salvarci, offrendoci peace & love ed energia pulita, o il mondo è ben lungi dall’essere sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero. E last but non least: non esiste un piano chiaro per rimettersi in carreggiata o per realizzare l’entità degli investimenti indispensabili per risparmiare energia. Anche se, a compensare questa assenza, ci sono le dichiarazioni senza se e senza ma: viva l’auto elettrica. Io ho il monopattino e in ossequio alla nota legge Salvini, che mi impedisce di usarlo sulle ciclabili, percorro le trafficate, bucate, strade romane, ma anche per le auto elettriche il problema è lo stesso: abbiamo fatto i conti con la crescente dose di rame necessaria a far camminare la macchina? Non credo proprio, ci limitiamo, a seconda del convegno, a fare le nostre belle dichiarazioni che prescindono dai fatti. Dichiarazioni amebe, appunto. Servono solo a illuminare l’aureola del relatore. 
Siamo dunque dei pazzi? Ecologisti millantatori? Dobbiamo dar ragione ai negazionisti della crisi climatica e dire: ma che ce ne importa? Tanto ha sempre fatto caldo e le temperature sono sempre cambiate?

 

Abbiamo fatto i conti con la crescente dose di rame necessaria a far camminare le auto elettriche? Non credo proprio

         

Non siamo pazzi, solo frettolosi e irrealistici. Il cambiamento climatico purtroppo è assodato come è assodato il nesso di causalità con le emissioni, quindi c’è poco da dibattere (e anche poco da vergognarsi), siamo in un bel guaio. Il problema è che questo guaio serissimo non lo risolveremo domani, tantomeno con i blocchi del traffico. Questo guaio necessita di un impegno globale, nonché di obiettivi concreti e realistici. Può essere affrontato con serietà se capiamo come funziona davvero il mondo. In fondo è una grande opportunità, uscire dalle nostre celle ideologiche e osservare il mondo nel suo concreto divenire: è anche una questione filosofica, direi esistenziale. Perché il mondo funziona, male o bene non importa (per me male), ma pochi sanno o riflettono su come funziona. Del resto, per essere un intellettuale degno di questo nome, si sa, in Italia bisogna fare un paio di citazioni giuste, metti Lacan, metti Pasolini, metti un filosofo greco a tua scelta. Per essere un intellettuale e sparare opinioni possiamo tranquillamente ignorare le leggi fisiche che imbrigliano l’energia e dunque regolano l’andamento del mondo. 

Va bene, sono di parte: sogno una riforma scolastica che invece delle poesie imparate a memoria ci costringa a ripetere a pappardella la differenza tra energia e potenza, che siamo 8 miliardi, che arriveremo a 10 miliardi (prima di decrescere demograficamente), qual è l’età media dell’Europa e quella dell’India o dell’Africa, e infine sogno che come base di partenza per i nostri impegni futuri riconosciamo che i progressi ottenuti finora sono figli dell’energia fossile. E’ un debito che non possiamo ignorare, pena la non risoluzione del problema. Va affrontato il dilemma: le cose umane e cioè i sentimenti, gli avanzamenti economici, le ferie pagate, le assicurazioni, la bassa mortalità infantile, l’alta aspettativa di vita sono figlie delle cose minerarie. Il paradosso da risolvere è il seguente, come migliorare le cose umane (perché il mondo non va benissimo) senza affidarci esclusivamente alla cose minerarie? 

 

Sogno una riforma scolastica che costringa a ripetere la differenza tra energia e potenza, e che i progressi ottenuti finora sono figli del fossile

         

Da qualunque lato prendete il paradosso la risoluzione è complicata. Prima di tutto perché la transizione energetica non è una variabile indipendente, non cala dall’alto e non prescinde dalle altre variabili. Vanno infatti considerati la crescita del pil, le tensioni globali, sia est-ovest che nord-sud. Vanno considerate e ricalibrate le aspettative, come accade nelle tante cose della nostra vita. Parte del  problema della transizione energetica è l’immaginario. Gli opinion maker, gli analisti e gli attivisti si aspettavano che la transizione andasse in un modo e di conseguenza sono stati modellati degli obiettivi. La pandemia ha contribuito all’immaginario. Abbiamo visto le anatre nei canali veneziani, il verde impadronirsi dell’asfalto, un mondo liberato dalle orde turistiche e le emissioni calate (anche se non di molto) e così abbiamo fatto due più due. Siamo diventati entusiastici ottimisti. Tale ottimismo, ci ricordano Daniel Yergin e Peter Orszag, coautori di un lungo saggio pubblicato su Foreign Affairs, “si è riflesso nella Roadmap Net Zero dell’Agenzia Internazionale per l’Energia di maggio 2021, che postulava che non sarebbe stato necessario alcun investimento in nuovi progetti di petrolio e gas sulla strada per il 2050. Tale pensiero ha plasmato la teoria dominante di una transizione lineare, con emissioni che raggiungono Net Zero in molti paesi entro il 2050 (e in seguito per alcuni altri, come la Cina, entro il 2060 e l’India, entro il 2070)”. Bel progetto, finché non abbiamo fatto i calcoli: una revisione completa delle fondamenta energetiche dell’economia globale costerebbe 115 trilioni di dollari in soli 25 anni

 

                       

 

E all’Africa che diciamo? Un continente demograficamente giovane la cui popolazione è destinata ad aumentare. Entro il 2050 si prevede che il 25 per cento della popolazione globale sarà africana. A oggi, quasi 600 milioni di persone vivono senza elettricità e circa un miliardo non ha accesso a combustibile pulito per cucinare. Con che cosa producono energia? Sembra folle ma l’energia tradizionale è quella della biomassa, si brucia roba vegetale. Quasi la metà del consumo energetico totale del continente è ottenuto in questo modo. Non c’è da sorprendersi più di tanto. Le transizione energetiche sono lentissime. Vaclav Smil ci ricorda che la prima transizione energetica è recente, iniziò nel 1709, quando un operaio metalmeccanico di nome Abraham Darby capì che il carbone forniva un mezzo più efficace per la lavorazione del ferro rispetto al legno. E la transizione  che ne seguì durò almeno un secolo.

Perché è vero, abbiamo rubricato il Diciannovesimo secolo come il secolo del carbone, ma sempre  Vaclav Smil, analizzando il consumo di carbone, ha stimato che questo fossile non superò le tradizionali fonti di energia da biomassa (come il legno e i residui delle colture) fino all’inizio del Ventesimo secolo. Su tutti vale l’esempio del petrolio, scoperto in Pennsylvania nel 1859, che avrebbe superato il carbone come principale fonte di energia al mondo negli anni 60. Ma come dicevamo all’inizio, tutto sta nel guardare come è fatta la torta energetica. La quantità assoluta di carbone utilizzata a livello globale non sta diminuendo: nel 2024 era tre volte superiore a quella degli anni 60. Con la crescita della popolazione africana, più persone avranno bisogno di cibo, acqua, riparo, riscaldamento, luce, trasporti e posti di lavoro, creando un’ulteriore domanda di energia sicura e conveniente. 

Senza questo sviluppo economico, la migrazione diventerà un problema ancora più grande, e, paradosso dei paradossi, se gli stati più poveri non utilizzano fossili a basso costo e basso know how, non potranno nemmeno sperare in una transizione energetica. Riusciranno i paesi africani ad attrarre capitali per avviare la transizione e per allontanarsi dalle fonti di energia a basso costo basate sul carbone (o dal legno e dai rifiuti)? Operazioni siffatte comportano elevati costi di capitale iniziali, orizzonti di investimento a lungo termine e incertezze politiche e normative. Per non parlare, perché ci vorrebbe un saggio, della questione geopolitica, su chi detiene le materie necessarie per la transizione. Con chi dobbiamo stilare accordi? Sono necessari litio (tra il 2017 e il 2023, la domanda di litio è aumentata del 266 percento), cobalto (è aumentata dell’83 per cento), nichel (aumentata del 46 percento) e grafite. E tanto rame, perché i veicoli elettrici richiedono due volte e mezzo o tre volte più rame di un’auto con motore a combustione interna. A proposito del rame, L’Agenzia internazionale per l’energia ha previsto che la futura domanda di rame raddoppierà entro il 2035, per soddisfare le attuali ambizioni politiche di emissioni zero entro il 2050. 

 

Se gli stati più poveri non utilizzano fossili a basso costo e basso know how, non potranno sperare in una transizione energetica

           

Insomma, meglio essere chiari, la transizione energetica non avverrà in linea retta, ci saranno giorni no e giorni sì, cadute e riprese, ma forse è utile riconoscere che la retta è per chi ha fretta, così come la transizione lineare è una bella dichiarazione di intenti. Non è colpa nostra se la linea non è retta e nemmeno possiamo rimproverarci più di tanto, approfittiamo per capire e studiare come funziona il mondo, quale complessa rete di interessi unisce e divide noi dal nostro prossimo. Quali compromessi sono accettabili, quali da rifiutare, e come lavorare con un sano sguardo pragmatico: tutto questo per vivere meglio e tutti in maniera sostenibile, ovvio. Che poi questo è il vero e grande paradosso da affrontare: è la nostra voglia di vivere a richiedere energia.

 

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