
Ansa
Equità e redditi
Sotto la disuguaglianza stabile tante cose cambiano, e non per forza in meglio
Il lavoro a reddito fisso, quindi dipendenti e pensionati, ha perso potere reale d’acquisto, circa il 6 per cento a oggi. E in più ha pagato 25 miliardi di imposte non dovute. Mentre la riforma del Rdc ha aumentato le disparità. Il rapporto Istat
L’Istat ha pubblicato il rapporto sulla redistribuzione del reddito in Italia che analizza gli effetti redistributivi delle politiche fiscali e dei trasferimenti pubblici. La principale evidenza del rapporto è che la disuguaglianza del reddito disponibile, misurata dall’indice di Gini, è leggermente aumentata, passando dal 30,25 al 30,40 per cento per effetto delle misure introdotte nel 2024. Apriti cielo: la diseguaglianza è aumentata. Ma l’utilità della pubblicazione non è quella di mettersi a priori contro il governo, soprattutto perché non si tratta di un aumento significativo. L’utilità, casomai, è quella di aiutare a comporre un quadro di quel che succede nell’economia e quali sono le misure più importanti per condizionarla.
Iniziamo dalla differenza tra reddito primario e reddito disponibile. Il reddito primario, che rappresenta i redditi prima dell’intervento pubblico, ha un indice di Gini del 46,48 per cento. Dopo l’applicazione di tasse e trasferimenti, l’indice scende al 30,40 per cento. Prima constatazione: le misure pubbliche hanno un grosso effetto, soprattutto al sud. Lo hanno sempre avuto. Tanto è vero che negli anni 2021 e 2022, nei due precedenti governi, ma anche nel 2023 del governo Meloni, le misure di diseguaglianza sono sempre scese. Merito delle compensazioni Covid, di quelle per il costo dell’energia, della cassa integrazione Covid e dell’Assegno unico familiare più di tutto. Anche il taglio delle rivalutazioni delle pensioni medio-alte ha ridotto la diseguaglianza post-tasse e trasferimenti pubblici.
Il rapporto del 2024 è dominato dall’impatto di tre misure: la riforma del Reddito di cittadinanza (Rdc) – che è anche l’unica misura originale del governo Meloni –, la riforma dell’Irpef a tre aliquote e la decontribuzione per i redditi fino a 35 mila euro, che sono un’evoluzione e un proseguimento delle misure contenute nell’ultima legge di Bilancio del governo Draghi.
Il passaggio dal Rdc all’Assegno di inclusione (Adi) del governo Meloni ha peggiorato la situazione di 850 mila famiglie, per lo più appartenenti alle fasce più povere. Il 75 per cento delle famiglie ex percettrici del Rdc non ha potuto accedere all’Adi a causa di requisiti più stringenti. Per chi ha mantenuto il sussidio il sostegno economico è risultato inferiore, con una perdita media annua di 2.600 euro. Solo 100 mila famiglie hanno avuto un aumento del reddito disponibile (circa 1.200 euro in più). Quindi la riforma del Rdc ha aumentato la disuguaglianza.
Dall’altro lato le misure fiscali, come la riforma dell’Irpef e la decontribuzione per i redditi fino a 35mila euro annui, hanno migliorato l’indice di Gini. I redditi fino a 35mila euro hanno avuto vantaggi dalla decontribuzione e (soprattutto) quelli tra 15 e 28 mila euro dalla riforma dell’Irpef. Questa ultima è anche la fascia di reddito più frequente in Italia e più sensibile alla misura statistica della disuguaglianza. Il risultato finale è un indice di Gini stabile nel 2024.
Ma quello che non si può vedere dal rapporto dell’Istat è ciò che succede sotto a questa stabilità. Perché il rapporto analizza l’effetto delle politiche pubbliche e il fiscal drag non è una politica pubblica, ma il frutto dell’inerzia del governo che non ha adeguato gli scaglioni e le detrazioni dell’Irpef all’inflazione. Come previsto da qualsiasi manuale di economia, in questi anni di alta inflazione (il 17 per cento cumulato dal 2022 al 2024) il lavoro a reddito fisso, quindi dipendenti e pensionati, ha perso potere reale d’acquisto, circa il 6 per cento a oggi. E in più ha pagato circa 25 miliardi di imposte non dovute: a tanto ammonta infatti l’effetto del fiscal drag. I redditi bassi fino a 35 mila euro sono stati compensati dalla riforma fiscale, ma quelli sopra i 35 mila hanno finito per pagare fino a 2 mila euro di tasse in più in tre anni.
Tutto questo non può essere colto dal, peraltro ottimo, rapporto Istat. Come non viene colto, a parità di effetti sulla diseguaglianza, il deterioramento qualitativo di alcune politiche pubbliche. Una parte del Rdc è stato sostituito dalla carta “Dedicata a te”, finanziata con ben 1,7 miliardi in tre anni. E’ il miglior esempio di regressione delle misure contro la povertà: si passa da una misura universale gestita dall’Inps a una misura sporadica gestita dal ministero dell’Agricoltura (!). Lo stanziamento avviene di anno in anno, quando ci sono un po’ di soldi da dare al ministro Lollobrigida. L’Inps fornisce ai comuni i nomi delle famiglie beneficiarie – che non devono usufruire di altri sussidi pubblici – e poi i comuni informano le famiglie che possono prendere la carta acquisti da 500 euro alle Poste. Se fosse una misura per ampliare il welfare avrebbe un sistema permanente di domanda, invece è una gentile concessione una tantum.
Quindi sarà pur vero che in realtà la diseguaglianza non è poi tanto aumentata. Ma a guardare sotto, non è detto che sia una buona notizia.