
pregiudizi vs realtà
Ritrovare l'accademia nell'università digitale
L'apprendimento nella didattica online è meno autentico? Critiche ideologiche e luoghi comuni ignorano l’impatto reale: l’università digitale non è un ripiego. Qualità, ricerca e accesso per tutti. Oltre a lezioni tracciabili ed esami più rigorosi
Complici il mio lavoro e gli algoritmi del web, spesso mi trovo davanti articoli della stampa sulle università digitali. A volte resto stupito da quello che leggo e devo rilevare che, in molti casi, tanto negative sono le opinioni, tanto è vasta la mancanza di esperienza diretta da parte di chi scrive, per non parlare della prospettiva essenzialmente ideologica. Può essere utile raccontare l’esperienza personale che, per quanto aneddotica, detiene il valore ineluttabile dell’avere perlomeno una vaga idea di quello di cui si sta parlando.
Quando nel 2022 ho vinto il concorso da professore presso Università Pegaso - mi si consenta di omettere l’antidiluviano appellativo di “telematica” - anche io avevo qualche dubbio: come funzionano davvero queste realtà? Potrò continuare ad avere un rapporto con gli studenti, a sentirmi un docente a tutto tondo, una parte non indifferente della mia identità? Potrò continuare a fare ricerca, che ancora sento come la mia vocazione professionale principale?
Ciò che ho trovato ha superato di gran lunga i miei desideri. Dal punto di vista della ricerca, a 38 anni dirigo un laboratorio di Human-Technology Interaction con sede a Milano: al momento ha sette membri, dispone di tecnologie avanzate e la sua produzione scientifica non ha nulla da invidiare a contesti simili. In Pegaso ho trovato un contesto professionale giovane, entusiasta, composto da colleghi e colleghe con cui ho sviluppato relazioni autentiche, arricchenti dal punto di vista umano ancora prima che da quello scientifico.
Cosa dire di didattica e studenti? Alcuni presumono che l’apprendimento nell’università digitale sia meno autentico, l’insegnamento impoverito dalle tecnologie della comunicazione e dalla distanza, la vita di ateneo - e conseguentemente, secondo le visioni più estreme, la qualità dei rapporti educativi - sostanzialmente inesistente.
Nelle relazioni educative si può sempre migliorare, in qualunque contesto; tuttavia, chi critica l’università digitale paragonandola alla presenziale spesso beneficerebbe di spostare la propria attenzione sull’evangelica trave nel proprio occhio. Nella presenziale esistono professori che non fanno lezione e non seguono tesi, di solito delegando le attività a dottorandi e assegnisti che dovrebbero concentrarsi su ben altri compiti utili al loro percorso. Queste devianze non sono possibili nell’università digitale, dove tutto ciò che è didattica avviene di fronte a una telecamera, che non mente e non dimentica. Le modalità d’esame supportate dalla tecnologia, siano esse orali o scritte, sono tutt’altro che facilitate e certamente più al sicuro da simpatie personali.
Ho conosciuto tante studentesse e studenti che hanno trovato nell’università digitale l’opportunità che non avrebbero mai trovato altrove. Chi parla di concetti come “democratizzazione del sapere” o “accesso universale allo studio”, ma critica le università digitali, semplicemente non sa come gira il mondo. Quando una volta chiesi a una tesista perché fosse così educata, perfino cerimoniosa nelle sue comunicazioni - mai visto niente del genere nell’università presenziale! - mi disse che aveva grande rispetto per chi le garantiva accesso allo studio, un’opportunità che per tutta la sua gioventù aveva considerato impossibile a causa di una situazione personale delicata, caratterizzata dal non potersi allontanare da una locazione geografica priva di risorse per l’istruzione.
Non tutti gli studenti dell’università digitale vengono da situazioni simili, ma molti di loro hanno bisogno di conciliare lo studio con diverse progettualità di vita, in un contesto sociale ed economico che non fa sconti a nessuno e spesso è sordo alle molteplicità delle esigenze. L’università, digitale o presenziale che sia, può sempre crescere e migliorare, ma per farlo ha bisogno di partire da un clima culturale aperto all’innovazione, oltre che dall’ascolto delle reali necessità delle persone.
Stefano Triberti, PhD
Professore Associato di Psicologia Generale e Direttore del LAHTI - Laboratory for Advanced Human-Technology Interaction presso Università Digitale Pegaso