
Effetti sui mercati
I dazi sulle auto di Trump fanno guadagnare Tesla e perdere tutti
Crollano i titoli dei marchi europei, ma anche di quelli americani. Regge solo Musk che ha tutta la produzione negli Usa, dipende relativamente poco dalla componentistica straniera e grazie ai dazi ridurrà il divario tra il costo delle sue auto e quelle a benzina degli altri marchi
L’industria automobilistica globale è scossa dai nuovi dazi del 25 per cento sulle automobili introdotti da Donald Trump. Gli Stati Uniti sono d’altronde il più grande importatore mondiale di autovetture, per un valore di 211 miliardi di dollari nel 2023. Se l’obiettivo della politica “protezionistica” è quella di rafforzare i marchi domestici, le reazioni sui mercati vanno in senso contrario. Sebbene l’Amministrazione Trump voglia tutelare l’industria statunitense colpendo le vetture assemblate all’estero, oltre alle case automobilistiche europee e asiatiche sono andate male anche quelle a stelle e strisce. Tutte le Big Three sono crollate: -7 per cento General Motors, -2,7 per cento Ford, -2 per cento Stellantis. Secondo le stime degli analisti di Bernstein, Ford e Gm quest’anno possono subire un calo del 30 per cento del margine operativo, anche se aumentasse i prezzi e riorganizzasse le catene di fornitura e aumentasse la produzione negli Stati Uniti.
Stellantis, tra le industrie americane, si trova in una posizione relativamente migliore perché i suoi veicoli assemblati in Messico contengono una quota maggiore di componentistica made in Usa che è esentata dai dazi. Se la tradizionale industria di Detroit soffre, c’è un solo produttore americano che – sebbene non resterà indenne dalla scure dei dazi di Trump – emerge come vincitore relativo: è Tesla. Il ceo Elon Musk – che è finanziatore e consigliere di Donald Trump, nonché capo del Doge (il Dipartimento per l’Efficienza governativa dell’amministrazione) – ha detto su X (il social network di cui è proprietario) che il nuovo regime tariffario “inciderà sul prezzo dei componenti delle auto Tesla che provengono da altri paesi, l’impatto sui costi non è banale”. Ma la reazione dei mercati è inequivocabile: Tesla è l’unico titolo automobilistico che guadagna (+4 per cento nelle contrattazioni mattutine, poi sceso a +1,6 per cento). E questo perché la società texana di veicoli elettrici ha tutta la produzione per il mercato domestico negli Stati Uniti e, a differenza dei produttori tradizionali, dipende meno dalla componentistica importata. Dopo che il titolo è crollato di circa il 40 per cento dal picco di dicembre, anche per la reazione dei consumatori alle posizioni politiche di Musk, le azioni di Tesla guadagnano soprattutto rispetto ai rivali. Secondo le stime di Goldman Sachs, i dazi del 25 per cento possono far aumentare i prezzi delle auto da 5 mila a 15 mila dollari e, pertanto, questo incremento che ricade prevalentemente sulle auto a benzina potrebbe colmare il divario di prezzo con i veicoli elettrici di Tesla, rendendoli relativamente più convenienti.
Questo implica, naturalmente, che tra gli sconfitti negli Stati Uniti ci sono i consumatori che vedranno aumentare ulteriormente il costo delle vetture, che peraltro era salito notevolmente dopo lo shock del Covid. Un settore che può guadagnarci, come peraltro accadde subito dopo la pandemia, è il mercato dell’usato. Non a caso i titoli di società rivenditrici di auto usate sono cresciuti e, più di tutti, quello delle società di noleggio come Hertz e Avis che hanno registrato un boom del 20 per cento. A gridare vittoria è anche la United Auto Workers, il sindacato con cui il presidente Joe Biden solidarizzò presentandosi con il cappellino davanti ai cancelli della Gm insieme ai lavoratori in sciopero: i dazi sono “un passo importante nella giusta direzione per i lavoratori dell’auto e le comunità dei colletti blu in tutto il paese”, ha dichiarato il leader della Uaw che ora si aspetta che le case automobilistiche riportino “buoni posti di lavoro sindacalizzati negli Stati Uniti”. Naturalmente non è una buona notizia per tutti gli altri lavoratori: se i consumatori dovranno spendere più soldi per comprare un’auto, avranno meno soldi per comprare altre cose. A pagare il costo dei dazi sarà quindi l’economia in generale, in termini di maggiore inflazione e minore crescita. Questo vale per gli Stati Uniti, ma soprattutto fuori.
Circa la metà delle autovetture vendute negli Stati Uniti sono importate e vengono prevalentemente da cinque paesi: Messico, Giappone, Corea del sud, Canada e Germania. I dazi sono quindi un colpo pesante per tutta l’industria automobilistica europea e asiatica che ha registrato forti cali sui listini, trascinando giù le rispettive borse. I dazi, vista l’importanza del settore in Europa (l’automotive vale circa 40 miliardi di euro di export verso gli Usa), avranno un impatto sull’economia in generale riducendo la crescita. Secondo una stima di Oxford Economics, i dazi Usa del 25 per cento colpiranno l’export del settore soprattutto di Germania (-7,1 per cento) e Italia (-6,6 per cento). L’Europa, come ha dichiarato la presidente Ursula Von der Leyen, “continuerà a cercare soluzioni negoziate, salvaguardando al contempo i propri interessi economici”. Non è però chiaro quale sarà la reazione, e se sarà unitaria, se il negoziato con Trump dovesse fallire.