L'altro lato dei dazi

Le tariffe di Trump aprono per l'Ue una partita con Pechino, che riverserà le sue produzioni

Mariarosaria Marchesano

"Il vero problema dell’Europa non è come rispondere a Trump ma che tipo di approccio adottare con la Cina”, spiega l'economista Tommaso Monacelli.  “Pechino risponderà al protezionismo americano cercando nuovi mercati di sbocco per le proprie produzioni e abbassando ulteriormente i prezzi dei manufatti e delle tecnologie che esportano".

I dazi del 25 per cento sull’ import di auto prodotte fuori dagli Stati Uniti potrebbe essere solo un assaggio del piatto di tariffe doganali che Donald Trump servirà il 2 aprile. Finora i segnali di un trattamento di riguardo dell’Amministrazione Trump nei confronti dell’Unione europea nell’ambito della svolta commerciale protezionista non si sono visti. E l’impatto pesante sui titoli europei del settore automotive (ma anche le azioni dei produttori americani, come Ford e Gm, hanno subito forti cali a Wall Street) potrebbe essere l’inizio di una reazione a catena negativa sui mercati che attendono di conoscere le tariffe su tutte le altre merci esportate negli Usa. Nonostante questo, c’è chi mette in guardia le autorità europee sulla soluzione, suggerita da alcuni, di rispondere a Trump per le rime. 


“All’Europa non conviene affatto rispondere ai dazi americani perché uscirebbe con le ossa rotte da una guerra commerciale in cui si inserirà la Cina con la sua temibile competizione sui prezzi”, dice al Foglio Tommaso Monacelli, economista dell’Università Bocconi. Monacelli è autore, insieme con un gruppo di accademici tra i quali Francesco Giavazzi, Carlo Favero, Laura Bottazzo e Guido Lorenzoni, di un documento sui rischi nell’area euro del protezionismo statunitense, documento richiesto dalla Commissione per gli affari economici e monetari (Econ) in vista del dialogo monetario con la Bce che si è svolto il 20 marzo. “Il nostro consiglio è stato di favorire la svalutazione dell’euro come effetto dell’incremento dei prezzi delle merci dovuto alle tariffe Usa e come conseguenza di una espansione monetaria da parte della Bce. Un euro meno forte andrebbe naturalmente a mitigare l’impatto del calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti. In ogni caso, il vero problema dell’Europa non è come rispondere a Trump ma che tipo di approccio adottare con la Cina”. 


Secondo Monacelli quello che potrebbe accadere è che i dazi che la Casa Bianca applicherà alle merci cinesi saranno più elevati rispetto a quelle europee e, come effetto, lo yuan tenderà a svalutarsi più dell’euro. E questo giocherà a sfavore delle esportazioni in Cina. Non solo. “Pechino risponderà al protezionismo americano cercando nuovi mercati di sbocco per le proprie produzioni e abbassando ulteriormente i prezzi dei manufatti e delle tecnologie che esportano. Il primo mercato a cui si rivolgerà sarà l’Europa che sull’auto elettrica, per esempio, è in forte ritardo”. Insomma, nonostante la posizione aggressiva dell’amministrazione Trump sul commercio, il gruppo di economisti sostiene che l’impatto complessivo sulle economie europee potrebbe essere relativamente contenuto grazie anche al contributo della Bce, la quale dovrebbe continuare ad abbassare i tassi in modo da controbilanciare un’eventuale recessione da domanda che arriverà per effetto della riduzione dell’export. Ma c’è un effetto collaterale: il rischio maggiore per l’Europa è diventare la regione più esposta allo “shock cinese” se non prepara una strategia comune di difesa ma anche di collaborazione con Pechino. Ma cosa dovrebbe fare? “Piuttosto che aumentare l’importazione di pannelli solari e auto, prodotti sui quali non riusciamo a essere competitivi, bisognerebbe incoraggiare i produttori cinesi ad aprire fabbriche in Europa, in modo da mantenere i livelli del mercato del lavoro”. Ma i produttori cinesi sarebbero disposti, secondo lei, ad accettare i maggiori costi di produzione europei? “Come fronteggiare la concorrenza cinese sarà la vera sfida dell’Europa in futuro ed è questo un terreno ancora più delicato del rapporto con l’America: penso che i paesi Ue debbano cominciare ad accettare l’idea di sostenere con incentivi pubblici la produzione cinese. Non vedo altro modo, altrimenti rischiamo di chiudere intere filiere manufatturiere con effetti negativi sull’occupazione”.

Eppure, molti  osservatori suggeriscono di replicare adeguatamente ai dazi americani, per esempio con maggiori tariffe sui servizi hi tech. “C’è il rischio di due passi falsi politici da parte dell’Europa – prosegue l’economista – imporre restrizioni alle aziende tecnologiche statunitensi: questo rallenterebbe la nostra crescita tecnologica e anche la produttività. Il secondo è dare il via a una guerra commerciale globale che sconvolgerebbe le importazioni di prodotti intermedi e le catene di forniture globali”. Insomma, una risposta muscolare a Trump sarebbe dettata più da ragioni politiche che economiche e per di più non risolverebbe il problema.

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