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 Bernabé spiega perché l'operazione di Poste su Tim può funzionare 

Mariarosaria Marchesano

“Operazione ben fatta, darà stabilità. Ma la nuova gestione deve delistare Tim dalla Borsa”. Parla l’ex numero uno di Telecom

“L’arrivo di Poste in Tim come azionista di riferimento pubblico e di lungo periodo è un’operazione ben fatta, che darà stabilità alla società telefonica dopo vent’anni in cui ha dimezzato i ricavi, passando 30 miliardi ai 16 attuali. Sono anche d’accordo sul fatto che Tim debba guidare il consolidamento del settore in Italia poiché è l’unico modo per aumentare i flussi di cassa per fare investimenti. Credo, però, che per avere l’autonomia decisionale che serve ed estrarre il maggior valore possibile, la nuova gestione dovrebbe delistare la società dalla Borsa e così il tema dell’opa prima o poi dovrà essere affrontato”. Franco Bernabé è stato per ben tre volte ai vertici di Telecom, in varie stagioni e con diverse compagini azionarie. Lo chiamavano quando c’era un’emergenza, usciva nelle fasi più tumultuose dei cambi di azionariato e veniva poi richiamato dai nuovi soci quando le cose si mettevano di nuovo male.

    

Telecom Italia era il sesto operatore telefonico al mondo, era anche fortissima sotto il profilo tecnologico – dice al Foglio – E’ stata messa in ginocchio, come altri gestori telefonici, dalla scelta dell’Unione europea di privilegiare una concorrenza esasperata per ridurre le tariffe e da una privatizzazione andata male che alla fine degli anni Novanta aprì la strada alle cordate che l’hanno indebitata fino al collo”.

 

La prima volta di Bernabé in Tim è stato a fine 1998. Il governo Prodi aveva da un anno consegnato l’ex monopolista interamente al mercato, ma i conti facevano acqua e fu chiamato lui che veniva dal successo della privatizzazione dell’Eni. Restò solo cinque mesi in sella perché a inizio 1999 arrivò l’opa dei capitani coraggiosi, Colaninno&C. Prima di lasciare Bernabé, in un discorso ai soci che è rimasto scolpito nella pietra, predisse: Telecom finirà a pezzetti nelle mani dei private equity. “Mi era semplicemente chiaro che avendo indebitato tanto la società per comprarla, i nuovi soci non avevano denaro per fare gli investimenti che richiedeva l’evoluzione tecnologica e digitale”.

   

La seconda volta, Bernabé fu chiamato nel 2007 quando Tronchetti Provera, dopo una seconda opa su Telecom, aveva passato la palla alla spagnola Telefonica con Mediobanca e Generali come supporto. Restò in sella fino al 2013. “Il tema della rete stava diventando centrale: proposi di scorporarla per farla acquistare alla Cassa depositi e prestiti, ma questa finì per comprare un’altra società, Metroweb, che diede inizio all’avventura sfociata nella nascita di OpenFiber. Intanto, la grande competizione tra operatori in Italia cominciava pesare sui margini di guadagno delle società e così H3G e Wind decisero di fondersi. Ma l’Unione europea cominciò a insistere sulla necessità che vi fosse nel nostro paese un quarto operatore spalancando la strada all’arrivo di Iliad nel 2018”. La società francese oggi è il principale indiziato dal mercato per un’aggregazione con Tim. Ma è credibile questo percorso dopo che il governo Meloni ha voluto che il gestore tlc tornasse sotto il controllo pubblico? “Con quale operatore potrà fondersi Tim in futuro non saprei, ma mi pare un percorso inevitabile. Quattro gestori sono troppi per l’Italia, la riduzione a tre è auspicabile sempre che l’Unione europea non si opponga”. Ci sono segnali di un cambio di rotta nella concorrenza europea delle tlc, auspicata anche dal rapporto Draghi. E’ scettico? “Vedremo, al momento mi sembrano solo parole. La verità è che Bruxelles è responsabile dell’attuale ritardo tecnologico dell’Europa rispetto a Cina e Stati Uniti perché non ha messo le società del settore nelle condizioni di avere la cassa che serve per sostenere la crescita”.

 

La terza volta di Bernabé in Tim è stato nel 2017: il manager torna dopo quattro anni chiamato dalla francese Vivendi che aveva nel frattempo rilevato le quote da Telefonica. Diventa consigliere indipendente e vice presidente con Flavio Cattaneo amministratore delegato ma ne esce in capo a un anno in occasione del ribaltone nella governance del fondo Elliot con il beneplacito del governo Lega-Cinque Stelle. Intanto il debito continua a salire, i margini a scendere e il futuro della rete è un’incognita. “E’ una storia incredibile – prosegue Bernabé – Ancora oggi, se ripenso a tutti i cambiamenti che ha subito la società sotto governi di vario colore, mi domando come sia possibile che non si sia trovata una strada per preservare un’azienda così strategica e d’interesse nazionale. Lei si è espresso in modo critico sulla vendita della rete a Krr, come mai? “Avevo sperato e insistito per una soluzione pubblica in passato, ma visto come sono andate le cose, era inevitabile che avvenisse la cessione che, almeno, ha consentito di alleggerire il debito. Solo che i fondi come Kkr hanno un orizzonte di medio-breve periodo, mentre la rete avrebbe bisogno di investitori di lungo periodo. Ma si vedrà, intanto, Tim sta avendo una svolta positiva perché per la prima volta dopo tanti anni avrà un azionista industriale stabile con una società ben gestita come Poste”.

   

La borsa, però, dopo l’annuncio di sabato pomeriggio, si è mostrata fredda sull’operazione (anche se l'andamento del titolo ieri è stato migliore rispetto all'andamento della borsa italiana: meno 1,3 Poste, meno 1,7 il Ftse Mib). Poste ha utilizzato buona parte della sua cassa per acquistare le quote di Vivendi e la domanda che si fa il mercato è chi farà gli investimenti. “Questo è il punto: purtroppo, le sinergie tra Poste e Tim probabilmente non basteranno a generare le risorse necessarie: quello che è stato fatto è il primo passo nella giusta direzione, ma il consolidamento è una via obbligata”.

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