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I numeri del Pnrr

La relazione semestrale del Pnrr apre a una proroga, con un gioco di prestigio

Giorgio Santilli

L'Italia è prima in Europa per milestone e target raggiunti, ma i ritardi principali arrivano dalle opere pubbliche, completate o in chiusura solo per il 20 per cento contro una media del 33 per cento. Mentre ci sono 14,9 miliardi di progetti non ancora attivati. Gli ultimi dati aggiornati al 31 dicembre 2024

Otto ministeri fanno insieme la quasi totalità della spesa di investimento Pnrr che bisogna concludere nei prossimi quindici mesi, 108,4 miliardi su 130,5 (83 per cento). Non sono necessariamente i più in ritardo, ma certamente quelli per cui la sfida del Pnrr è più difficile da portare al traguardo. In testa c’è il ministero delle Infrastrutture con 27,8 miliardi da spendere, seguito dall’Ambiente con 17,7, il ministero delle Imprese con 14,4, la Salute con 12,8 e l’Istruzione con 11,3. Gli altri tre, con importi poco sotto i 10 sono Trasformazione digitale, Università e Lavoro. I dati sono registrati dalla Relazione semestrale appena approvata dal Governo, aggiornati al 31 dicembre 2024. La spesa contabilizzata è di 64 miliardi, pari al 33 per cento del budget complessivo.

 

                

 

C’è la conferma che i ritardi principali arrivano dalle opere pubbliche, completate o in chiusura solo per il 20 per cento contro una media del 33 per cento. Ai primi due stadi, avvio o esecuzione, ci sono 53 miliardi. Dalle analisi del ministero delle Infrastrutture sappiamo quali sono le opere in forte ritardo: le grandi infrastrutture. Se il dato medio della spesa delle opere Mit è 57 per cento, le opere ferroviarie dell’Alta velocità sono ferme al 27 per cento. Sarà completata e messa in esercizio solo la Brescia-Padova, mentre il Terzo valico, la Bari-Napoli, la Palermo-Catania e il primo lotto della Salerno-Reggio Calabria sono destinate a uscire dal Pnrr per continuare il cammino su piani nazionali. Al 27 per cento di attuazione le opere delle Zes,  22 per cento le metropolitane. In compenso, la spesa media di tutte le altre opere ferroviarie è al 93 per cento del cronoprogramma. Un dato da non trascurare della Relazione è che ci sono 14,9 miliardi di progetti non ancora attivati. Per 3,5 riguardano il ministero delle Imprese, per 2,5  l’Agricoltura, per 2,3  il Lavoro, per 1,5  l’ambiente, per 1,2 l’Istruzione, per poco meno di un miliardo la Trasformazione digitale. La Relazione, al solito, tranquillizza: “Si riferiscono principalmente a misure introdotte con la revisione del Pnrr e a misure che prevedono un’attivazione della dotazione finanziaria distribuita nel corso del tempo (ad esempio, borse di studio)”. Fra gli importi solo attivati e quelli iscritti a Regis (270.046 interventi per 141,7 miliardi) c’è pure una differenza consistente: 32,8 miliardi. Sono i progetti attivati per cui non si è ancora speso neanche un euro.

Nelle 670 pagine della Relazione la premier Meloni e il ministro Foti ribadiscono la loro linea comunicativa: Italia prima in Europa per milestone e target raggiunti con 270 obiettivi centrati su 621. Nulla si dice della partita in corso con Bruxelles: la revisione generale del Pnrr che si sarebbe voluta presentare già a febbraio ed è andata via via slittando, finendo  fuori dai radar. Si fanno conferenze stampa, relazioni, question time e la revisione – l’ultima, che traccerà la strada verso giugno 2026 – semplicemente non esiste. In quella partita ci sono le due vere scelte strategiche che segneranno il destino finale del Pnrr. La prima è  contabile: come saranno conteggiate le opere non completate. Il Terzo valico è un esempio da manuale: di fronte al blocco per cause non prevedibili, si potrà “salvare” il finanziamento parziale dell’investimento, sommando le opere parziali realizzate, come singole gallerie o tratti di linea? La partita, che gioca soprattutto il Mef, vale per qualche migliaio di interventi. Ma l’eredità del Pnrr si gioca su un’altra sfida. Molti ministeri si sono allineati alla strategia inventata da Salvini di destinare parte delle risorse non spese a una continuazione di investimenti strategici, collegati a nuove riforme e posti ancora sotto il controllo della commissione. Se l’Italia non riesce a spendere entro il 2026 i soldi per le politiche abitative e la rigenerazione di pezzi di quartieri di edilizia residenziale può guadagnare un tempo supplementare che vada oltre il 2026 per costituire un fondo destinato comunque alla “casa pubblica”?  

Si lavora da mesi a questa chiave che costituisce la soluzione “win-win” per Europa e Italia, creando una nuova stagione di riforme e investimenti in un sostanziale (non detto) Pnrr-bis. A scavare, nella Relazione c’è il capitolo 8 che apre una finestra, collegando Pnrr e Piano strutturale di bilancio di medio termine. Il Psbmt – si legge – “prevede varie fasi temporali: nel primo biennio (2025-2026) l’attenzione è focalizzata sull’attuazione del Pnrr; dal 2027 è previsto di continuare nella stessa direzione, attraverso misure di riforma e investimento a carattere nazionale, che vadano anche a consolidare i risultati del Pnrr”. Quel “consolidare” è un indizio, non  una prova. Ancora si tace dell’aspetto clou: che fine faranno i soldi non spesi del Pnrr.
 

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