
Musk contro Navarro, lo scontro interno al trumpismo sui dazi
Elon Musk e Bill Ackman contestano la politica dei dazi attaccando Peter Navarro e Howard Lutnick. L’alleanza trumpiana tra miliardari e populisti, Silicon Valley e MAGA, mostra crepe profonde mentre Wall Street si dissangua
Una foto iconica della nuova Amministrazione Trump è stata quella degli “oligarchi” all’Inauguration Day: Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e il ceo di Google Sundar Pichai in fila a Capitol Hill, in quello che è stato visto come un bacio dell’anello del nuovo sovrano. Ma dopo meno di tre mesi l’alleanza tra miliardari e populisti, Silicon Valley e Maga, mostra crepe profonde. La ragione è ben visibile dallo sprofondo di Wall Street dopo i “dazi reciproci” introdotti da Trump e dalla classifica dei patrimoni dei miliardari di Bloomberg: rispetto a un anno fa Musk ha perso 130 miliardi di dollari, Bezos 45 e Zuckerberg 28. L’unico riccone ad aver guadagnato (+12,7 miliardi) è Warren Buffett, l’oracolo di Omaha, che invece di prosternarsi all’Inauguration day si era messo a vendere asset prima della tempesta.
Il più in difficoltà di tutti è Elon Musk, grande sostenitore politico e finanziario di Donald Trump, tanto da far parte della sua Amministrazione come capo del Doge, l’ufficio che dovrebbe ridurre la spesa federale e tagliare la burocrazia. Le azioni di Tesla, l’azienda di Musk che produce auto elettriche, sono crollate del 15 per cento nei due giorni successivi all’annuncio di Trump sull’introduzione di dazi generalizzati di almeno il 10 per cento. Il titolo è sceso del 50 per cento dal suo massimo storico raggiunto il 17 dicembre, dopo che si era gonfiato a dismisura proprio a seguito della vittoria elettorale di Trump. La vicinanza politica al presidente degli Stati Uniti non è più considerato un asset politico, da un lato perché l’attivismo politico di Musk a favore dell’estrema destra negli Stati Uniti e in Europa ha prodotto una reazione dei consumatori e un crollo delle vendite, dall’altro lato perché proprio le politiche protezionistiche dell’Amministrazione Trump stanno travolgendo tutti.
Musk ha iniziato a esprimere in maniera indiretta il suo dissenso per la brutta piega che sta prendendo la politica commerciale del governo statunitense. Sabato, intervistato da Matteo Salvini al congresso della Lega, il miliardario ha detto che lui spera che “gli Stati Uniti e l’Europa possano creare una partnership molto più forte. Spero arriveremo in futuro a una situazione di zero dazi con una zona di libero scambio tra l’Europa e l’America”. Una posizione molto diversa da quella di Donald Trump, che ha invece sempre descritto l’Unione europea come un progetto politico nato appositamente per “fregare gli Stati Uniti”. Ma la proposta di Musk è stata immediatamente bocciata, in maniera anche abbastanza brutale, dal consigliere di Trump sul commercio internazionale Peter Navarro: “Tutti noi alla Casa Bianca, e il popolo americano lo sa, capiamo che Elon non è un produttore di automobili, ma è un assemblatore di automobili” ha detto, aggiungendo che le batterie e la componentistica delle Tesla vengono da “Giappone, Cina e Taiwan” e perciò “vuole pezzi dall’estero a buon mercato”.
Oltre a Musk-Navarro, c’è stato un altro scontro nell’universo trumpiano tra billionaire e Maga. Bill Ackman, fondatore dell’hedge fund Pershing Square Capital Management e sostenitore di Trump alle ultime elezioni, ha prima detto che la formula usata dall’Amministrazione per calcolare i dazi è sbagliata per eccesso (“così i dazi impliciti delle altre nazioni sembrano quattro volte più grandi”) e poi ha accusato il segretario al Commercio Howard Lutnick, già ceo del colosso finanziario Cantor Fitzgerald, di essere “indifferente al mercato azionario e al crollo dell’economia” perché la sua società finanziaria è lunga sulle obbligazioni e quindi “lui guadagna quando la nostra economia implode”: “E’ un conflitto di interessi inconciliabile” (Ackman si è poi scusato con Lutnick in un tweet).
Un altro pentito è Jamie Dimon, ceo di JPMorgan Chase, la più grande banca al mondo per capitalizzazione, che nella sua lettera annuale agli azionisti ha scritto che i dazi annunciati da Trump “probabilmente aumenteranno l’inflazione e stanno portando una maggiore probabilità di recessione”. Pertanto “più rapidamente questo problema verrà risolto, meglio sarà, perché alcuni degli effetti negativi aumenteranno cumulativamente nel tempo e sarebbero difficili da invertire”. Meno di tre mesi fa, a Davos, sul protezionismo trumpiano Dimon diceva che “è un po’ inflazionistico, ma è positivo per la sicurezza nazionale. La sicurezza nazionale è più importante di un po’ più di inflazione”.
Ora il mondo di Wall Street e della Silicon Valley, che pensava di poter influenzare e normalizzare la nuova Amministrazione, si rende conto che nel mondo di Trump più dei soldi conta l’ideologia Maga rappresentata da yes man e sicofanti come Navarro e Lutnick.



Fra politica e pericoli