
(LaPresse)
Rispondiamo ai dazi con gli Eurobond per salvare il commercio globale
L'emissione di nuove eurobbligazioni, in questo momento, significherebbe creare una valida alternativa per gli investitori internazionali, attirando capitale in Europa. Questo renderebbe un servizio innanzitutto alla nostra economia, ma sarebbe anche uno strumenti di stabilizzazione e rassicurazione
Altro che allentamento del patto di stabilità e denigrazione dell’Europa, come abbiamo dovuto ascoltare alla convention (ah, era un congresso? Ma dai…) leghista dello scorso fine settimana. Semmai questo è il momento di fare un salto in avanti nel percorso europeista, cominciando proprio dagli Eurobond. E’ questo lo strumento principe grazie al quale poter replicare agli stolidi attacchi dell’America trumpiana e trasformare in una possibile opportunità per l’Europa (e non per l’Italia, caro Salvini) i dazi del palazzinaro newyorchese. La raccomandazione era peraltro già contenuta tanto nel rapporto di Mario Draghi quanto in quello di Enrico Letta. La premessa da cui partire è che nella strategia protezionistica di Donald Trump non c’è nessuna coerente logica economica. I continui riferimenti del presidente americano a McKinley e all’America di fine Ottocento sono completamente astrusi. Non solo gli Stati Uniti di oggi hanno un ruolo nel sistema internazionale imparagonabile con quello di allora, ma mentre in quello occupavano la posizione di un parvenu assiso su uno strapuntino, quello contemporaneo lo hanno in gran parte plasmato a propria immagine e somiglianza. Difficile che persino Trump non riesca a capirlo. Più facile che lo capisca fin troppo bene, e che cerchi di smantellare il sistema internazionale per poter meglio manomettere in direzione autoritaria e populista quello domestico. E’ quindi una logica politica, una pericolosa logica politica, quella che guida l’azione mercantilistica di questa Amministrazione ed è su questo campo che occorre ribattere.
Iniziano probabilmente qui le difficoltà del nostro governo ad articolare una posizione coerente, che tuteli l’interesse nazionale e rinforzi quell’Unione europea di cui siamo parte fin dalle origini e la cui salute, solidità e floridezza dovrebbero starci a cuore se siamo veri patrioti italiani. Giustamente, dobbiamo guardarci dalla tentazione di una sconsiderata e massiccia rappresaglia. Se crediamo, come fermamente crediamo, che il commercio internazionale sia una componente fondamentale della creazione di ricchezza, che contribuisca a rendere più efficiente (cioè meno sprecona) l’economia nazionale e contribuisca ad abbattere le diffidenze reciproche transfrontaliere, allora non possiamo che cercare di evitare che agli sconsiderati e irragionevoli dazi americani si sommino altrettanto sconsiderati seppure provocati dazi europei. Ma, d’altro canto, sappiamo bene che mostrarsi deboli con Trump è una strategia suicida. Nel weekend il tycoon si è già vantato di come “50 paesi siano già venuti a chiedere di trattare con lui”.
Occorre allora evitare di fare sì che le preoccupazioni che ci vengono dalla nostra logica economica ci impediscano di andare a controbattere alla logica politica di Trump. Operazione molto più difficile se si continua a identificare nel presidente americano il maggiore esponente del sovranismo (cioè del nazionalismo estremista identitario). L’obiettivo neppure nascosto di Trump è quello di costringere gli altri paesi del mondo ad accettare uno scambio tra la riduzione dei dazi da lui introdotti con regalie agli Stati Uniti in altri campi. E’ la medesima logica della mediazione fasulla offerta all’Ucraina per raggiungere un accordo di pace con la Russia in cambio della rapina delle terre rare. Nel nostro caso, si tratterà probabilmente della riduzione dei dazi proposta in cambio della rinegoziazione a condizioni loro sfavorevoli (in termini di scadenze e remunerazioni) del debito pubblico americano detenuto dai creditori esteri. Ed è proprio nel campo della finanza pubblica che la controffensiva europea potrebbe trovare un varco consistente. L’emissione di nuovi Eurobond, in questo momento, significherebbe creare una valida alternativa per gli investitori internazionali, attirando capitale in Europa, che apprezzerebbero le garanzie di stabilità, razionalità economica, ragionevolezza e non arbitrarietà che continuano a governare l’economia del Vecchio continente, a differenza del Nuovo. Cioè prevedibilità e certezza del diritto: due condizioni che i mercati apprezzano enormemente.
Questo renderebbe un servizio innanzitutto alla nostra economia, ma garantirebbe anche all’economia globale uno strumento di stabilizzazione e rassicurazione, oltre a concorrere a sbugiardare le affermazioni trumpiane sul fatto che sia il mondo a vivere a scrocco degli americani, quando semmai è vero esattamente il contrario. In termini di economia europea, oltretutto, consentirebbe di evitare che il nostro risparmio venisse a essere gestito da operatori d’Oltreoceano prima di essere (in parte) reinvestito sui nostri mercati e fornirebbe argomenti per contribuire alla punizione della Trumpnomics alle prossime elezioni di midterm. Finirebbe, in tal modo, per rendere un servizio anche agli americani e alla salvaguardia delle loro istituzioni politiche ed economiche. Inutile aggiungere che una simile mossa avrebbe due effetti politici, probabilmente poco appetibili per i sovranisti di casa nostra e, più in generale, per i populisti presenti anche nell’opposizione (compresi quelli annidati nel Pd). In primo luogo, consentirebbe un passo in avanti verso un’Europa federale attraverso la creazione di un effettivo mercato unico dei capitali. In secondo luogo, ricorderebbe che le democrazie occidentali sono necessariamente anche liberali, o cessano di essere tali. Da ultimo ma non per ultimo, metterebbe la società civile di fronte alla sfida di muoversi verso la richiesta della nascita di partiti politici effettivamente transnazionali, per governare democraticamente un’Europa finalmente federale, decretando la fine di tante immemorabili carriere politiche.



Fra politica e pericoli