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mercati in ansia

Trump invita a resistere, ma le borse crollano. La paura di una nuova grande crisi finanziaria

Stefano Cingolani

Wall Street perde, crollano le borse asiatiche, seguono le europee. Il presidente dice "non siate stupidi". Ma adesso cosa farà la Federal Reserve?

Non siate deboli, non siate stupidi”: Donald Trump sul social network Truth ha invitato gli americani a essere “forti, coraggiosi, pazienti”. A Wall Street non gli hanno dato retta e le borse sono andate male anche ieri. Dopo un venerdì nero, un lunedì grigio fumo. E’ girata la notizia che il presidente mediti di chiudere la Borsa per ben tre mesi, una decisione da paese in guerra, una guerra scatenata dalla stessa Amministrazione americana. “Fake news”, la scelta getterebbe nel panico il resto del mondo, ma ne girano di tutte e di più. La Casa Bianca ha minacciato la Cina con ulteriori dazi del 50 per cento e dice che non ci saranno pause nella corsa dei dazi. La Federal Reserve è riunita in un meeting a porte chiuse, in una situazione emergenziale: taglierà i tassi come ha chiesto Trump?

 

Jerome Powell pomperà moneta mentre in giro ce n’è già tanta, quando quel che manca è la fiducia non il denaro? Il mercato si aspetta cinque riduzioni di 25 punti base di qui a fine anno, quindi un 2,50 per cento in meno che porterebbe il costo del denaro al 2 per cento, in linea con gli obiettivi della Banca centrale americana e con la stessa Bce. Dopo i crolli della settimana scorsa, l’indice Dow Jones ha aperto ieri con un altro -3,25 per cento poi risalito a -1,19 per cento, l’indice S&P500 è partito male (-3,62 per cento), ma poco dopo mezzogiorno (sulla costa dell’est) s’è avvicinato allo stesso livello di venerdì come pure il Nasdaq. Per il Tariff crack c’è chi ha evocato lo scoppio della bolla internet nel 2000, ma allora la crisi era più circoscritta anche se ha avuto effetti trasversali, perché in economia nessuno è un’isola e chi minimizza l’impatto dei dazi non conosce le tavole delle interdipendenze strutturali. La mente di ogni operatore va alla grande crisi del 2008. Anche allora le vendite in Borsa erano andate avanti per alcuni giorni e tutti speravano che il fine settimana avesse portato consiglio. Invece lunedì 15 settembre la tempesta era diventa un uragano e crollava niente meno che la Lehman Brothers. Oggi non siamo al panic selling, non ancora: nel 2008 l’indice Dow Jones perse il 33,8 per cento, con ondate di vendite che finirono il 20 novembre quando George W. Bush riunì il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke e il segretario al Tesoro Henry Paulson, insieme ai capi delle più grandi banche e decise il grande salvataggio, chi doveva vivere e chi morire, chi comprava chi. Oggi occorre di nuovo una decisione politica, ma il comandante in capo non ha intenzione di fare marcia indietro.

 

Non si stanno arricchendo nemmeno i Magnifici sette. Tesla ha quasi dimezzato il suo valore, Nvidia venerdì soltanto ha perso il 10 per cento. Il mercato azionario americano ha bruciato in un giorno valore per 3,25 mila miliardi di dollari, il giorno prima quasi 2 mila miliardi. Ieri dai mercati asiatici è arrivato il gelido vento dell’est: Hong Kong ha ceduto il 13,6 per cento, Shanghai il 7,3 e Tokyo il 9,5, Seul il 5,6. La Borsa di Taiwan ha registrato la peggiore perdita giornaliera in assoluto con un calo al 9,7 per cento nonostante il governo di Taipei abbia annunciato di non voler rispondere con ulteriori dazi. I mercati europei hanno aperto in discesa dopo aver chiuso malissimo con una caduta che evoca quella provocata dalla pandemia nel marzo 2020. Il Dax di Francoforte ha segnato subito un -10 per cento poi ridimensionato al -4,26 per cento, il Cac 40 di Parigi -4,78 per cento, l’indice Ftse Mib di Milano -5,18 per cento, Madrid -5,1 per cento. Pesante anche Londra: -5,2 per cento. L’indice Eurostoxx 50, che riguarda le 50 maggiori compagnie europee, è sceso al punto più basso degli ultimi 16 mesi. La Deutsche Bank ha già messo in guardia i suoi clienti, mentre la svizzera Swissquote Bank ha parlato di “bagno di sangue”. Anche in Italia sono state colpite duramente banche e assicurazioni con aperture da brivido (in parte ridimensionate): perdite sopra al 3,75 per cento per Bper e 4,33 per Popolare Sondrio, del 4,92 per Mps, del 5 per Mediobanca, del 3,58 per Generali, Banco Bpm ha perso il 3,4, Unicredit 2,77, è andata peggio per Intesa Sanpaolo: -5,56. Dovranno essere rifatti i conti del risiko bancario italiano e c’è il dubbio che possa ancora andare avanti. Nell’industria ieri nessuno si è salvato, dall’Eni alla Ferrari passando per Stellantis.
L’orizzonte si presenta fosco anche perché la Borsa americana stava mostrando segnali di debolezza ormai da mesi, si può dire fin da quando si era capito che Trump poteva vincere le elezioni. Il 5 novembre il Dow Jones era a 42.100 punti, venerdì 4 era sceso a 40.913. La breve euforia seguita alla vittoria è svanita già il giorno dell’inaugurazione con lo show trumpiano accompagnato dalla sua corte dei miracoli. Un brivido è corso lungo la schiena degli stessi re di denari, Big Money ha dichiarato guerra a Big Tech e ha cominciato a tremare.

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