
Lapresse
in pieno stile americano
I consigli di OpenAi all'Europa per rafforzare (tutte) le intelligenze
Dalle regole ai chip fino ai valori. Un documento programmatico del colosso americano della tecnologia indica a Bruxelles cosa fare per recuperare terreno sull'intelligenza artificiale
Il conflitto d’interessi è ormai un dispositivo novecentesco, e non stupisce pertanto che OpenAI esca con una sua blueprint programmatica per dirci cosa deve fare l’Europa per recuperare sul fronte AI. Il documento di venti pagine è a firma di Chris Lehane, capo degli Affari globali del colosso americano, e di Sandro Gianella, italiano di base da anni in Germania, che invece ne segue la public policy e le partnership nell’area Emea (Europa, medio oriente e Africa, nel tipico raggruppamento corporate di geografie che ben poco avrebbero da spartire).
La proposta, è doveroso precisarlo, è ben strutturata e ragionata, e guidata da quattro principi cardine: lavorare sulle fondamenta necessarie per la crescita dell’AI (chip, dati, energia e talenti), assicurare che le regole europee siano sincronizzate e semplificate in modo da abilitare il progresso del settore invece che complicarlo (un non così velato attacco all’AI Act), massimizzare l’opportunità legata al comparto AI tramite un’adozione diffusa in tutti i settori, le regioni e la società tutta, e infine, nella raccomandazione meno chiara, assicurare che l’AI sia costruita in maniera responsabile e che “rifletta i valori europei”.
In pieno stile americano, alla proposta non mancano i KPI, ovvero gli indicatori misurabili e gli esempi della proposta: aumentare la capacità computazionale di almeno il 300 per cento rispetto a quella attuale entro il 2030, lanciare un fondo per startup e progetti pilota da un miliardo di euro, addestrare cento milioni di europei sulle competenze dell’AI fondazionale entro il 2030 tramite corsi multilingua, e infine focalizzarsi sul co-design di applicazioni insieme alle persone giovani – ammesso e non concesso che ne siano rimaste per la fine del decennio. Cosa manca allora all’appello? Evidentemente, il riferimento ai modelli fondazionali già presenti, in primis il francese Mistral, che di OpenAI è aperta concorrente, e che al di là di bizzarri proclami sciovinisti che fuoriescono di volta in volta nei vari paesi sovrani sembra per ora l’unico modello solido prodotto in Europa. Impensabile lanciare un piano europeo senza far leva sul suo unico campione digitale del settore. Non si fa poi menzione della parte hardware, ovvero di quelle che in InvestAI – il piano lanciato da Ursula von der Leyen con una dotazione di 200 miliardi di euro, poco prima di annunciarne quattro volte tanti per le sfide della Difesa – vengono definite “gigafactory” di AI, quattro fabbriche dislocate sul territorio europeo, ciascuna dotata di circa 100.000 chip di ultima generazione, deputate a costruire la potenza computazionale necessaria per sviluppare modelli di AI avanzati.
Finora, prima di InvestAI l’Europa spendeva all’anno tra i 10 e i 20 miliardi di euro in AI, tra comparto pubblico e privato. La Cina nello stesso periodo ne spendeva 70, mentre ben oltre i cento sono stati gli statunitensi. Particolarmente significativo il fatto che la lettera di presentazione della blueprint di OpenAI citi gli eventi di sensibilizzazione già organizzati a Bruxelles e Parigi, e i prossimi in via di definizione a Varsavia e Monaco di Baviera: l’Italia scala nelle priorità non solo, come ci si poteva aspettare, dietro ai mercati francesi e tedeschi, ma anche a quello polacco.
Sia al piano di OpenAI sia a quello von der Leyen mancano però alcuni pilastri, ed entrambi mostrano una certa difficoltà a tradurre in azioni concrete le loro visioni. In ambedue i documenti si parla di formazione, ma nessuno dei due affronta seriamente la questione dei cervelli in fuga, né propone strumenti per attrarre i migliori talenti globali verso l’Europa, specie in un periodo in cui i ricercatori sotto Trump farebbero carte false pur di lasciare l’America. Manca un vero “talent Visa europeo”, incentivi fiscali per i ricercatori IA, startup studio per spin-off accademici. L’approccio è inoltre sempre urbano-centrico, e rischia di inasprire ulteriormente il già esistente divario sociale tra i grandi centri e le aree periferiche e rurali, un tema che è sempre più cogente ed evidente nelle analisi del voto politico. Pmi, distretti rurali o turistici, e comunità locali non sono considerati attori chiave dell’adozione dell’AI: le economie di scala sia hardware sia software potrebbero condurre alla nascita di nuovi cluster e distretti specializzati in zone storicamente meno sviluppate dal punto di vista economico. Allo stesso modo, ci si focalizza su industria e sanità, mentre non si dice nulla invece sui verticali di cultura e creatività – nonostante l’enorme patrimonio europeo nel settore – giustizia, pubblica amministrazione e servizi sociali. Tutti settori in cui l’AI entrerà senza fare prigionieri, se non quelli che la politica riuscirà a schermare dalla disruption della radicale innovazione in corso.



Fra politica e pericoli