
Perché Meloni non offre a Trump l'eliminazione del "dazio Parmigiano"?
Gli Stati Uniti contestano i regolamenti su Dop e Ig: una barriera non-tariffaria che blocca l'accesso al mercato europeo. Il caso più emblematico è il Parmesan. Ma ora anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano è pronto a una svolta, pur di togliere i dazi
In previsione della visita di domani a Washington, dove incontrerà il presidente Donald Trump per discutere di dazi, Giorgia Meloni ha detto che l’Italia ha “la forza, la capacità, l’intelligenza e la creatività per superare ogni ostacolo”, ricordando che “quando un prodotto italiano viene esportato, la gran parte della ricchezza non la produce in Italia ma dove viene esportato”. Sono argomenti importanti, ma probabilmente servirà qualcos’altro per convincere Trump ad abbattere i dazi del 10% imposti e quelli del 20% minacciati. Sul tavolo delle trattative la premier può mettere il Parmigiano.
Il presidente degli Stati Uniti ha definito “reciproci” i dazi introdotti nel giorno del cosiddetto Liberation day, spiegando che sarebbero la risposta della Casa Bianca alle barriere commerciali alzate dagli altri paesi nei confronti delle imprese Usa. La strategia italiana, a quanto pare, è quella di mostrare una buona volontà per arrivare ad abbassare reciprocamente le barriere che separano l’Oceano Atlantico. È lo spirito della proposta “zero-per-zero” della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, condivisa dal governo italiano, di azzerare reciprocamente i dazi sui beni industriali tra Stati Uniti e Unione europea. Ma, come abbiamo visto, non basta. L’offerta è stata respinta. Trump sostiene che oltre ai dazi ci sono molte barriere non-tariffarie che ostacolano l’export americano. Ed è qui che entra in gioco il Parmigiano Reggiano, o il Parmesan, in base al punto di vista.
Una delle controversie commerciali più lunghe tra America ed Europa è quella che riguarda le Indicazioni geografiche (Ig). I regolamenti europei prevedono disposizioni molto restrittive a tutela delle Denominazioni di origine (Dop) e le Ig: non è cioè protetto solo l’uso del nome specifico d’origine di un prodotto, ma anche tutti quei nomi che possono evocarle una Dop o Ig. Il cosiddetto Italian sounding. Il caso più emblematico è, appunto, quello che contrappone il Parmigiano Reggiano al Parmesan (fatto prevalentemente in Wisconsin). Per gli americani la normativa è troppo restrittiva e anti-concorrenziale, perché impedisce l’uso di “nomi comuni”, utilizzati ormai da decenni e con cui quel genere di prodotti sono noti, come appunto parmesan. Se ha perfettamente senso che il Parmigiano-Reggiano debba essere prodotto in Italia e specificamente nell’area emiliana tra il Po e il Reno – è la linea dei produttori americani – non ha senso che tutti i formaggi di tipo parmesan debbano venire dall’Italia. Anche perché gli americani, pur volendo, non saprebbero che nome dare a quel tipo di formaggio a pasta dura che hanno sempre chiamato così.
A questo tema è dedicato un paragrafo del report “Foreign trade barriers 2025”, il libro nero delle barriere commerciali appena pubblicato dal Trade representative di Trump: “Queste disposizioni problematiche non solo incidono negativamente sui diritti dei marchi e sulla possibilità di utilizzare nomi comuni – c’è scritto – ma compromettono l’accesso al mercato Ue per i titolari di diritti e i produttori statunitensi. Inoltre, l’Ue ha concesso la protezione delle Ig a migliaia di termini, limitandone l’uso nel mercato Ue solo a determinati produttori Ue e l’uso di qualsiasi termine che anche solo evoca un’Ig è bloccato”. Il risultato è che negli Usa si vendono sia il parmesan sia il Parmigiano, mentre in Europa il parmesan americano non può essere commercializzato.
Ma c’è una via d’uscita. Pochi giorni fa, il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli, ha detto che si può convincere Trump a togliere i dazi con questo argomento: “Non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani”, perché sono “prodotti diversi che hanno posizionamento, standard di produzione, qualità e costi differenti”. La tesi è che i consumatori americani sanno distinguere benissimo i due prodotti, e non saranno i dazi a fargli cambiare scelta: semplicemente pagheranno di più il formaggio italiano.
Ma se neppure gli americani confondono il parmesan con il Parmigiano, com’è possibile che lo facciano gli italiani? Che senso ha una protezione così stretta? Tanto più che il Parmigiano Reggiano viene venduto a oltre 50 dollari al kg negli Usa, più del doppio rispetto a quanto costa nei supermercati italiani (spesso sotto i 20 euro al kg): ciò vuol dire che nel nostro mercato il parmesan non solo non è paragonabile per qualità, ma non è competitivo neppure sul prezzo.
L’Italia potrebbe quindi farsi promotrice di una soluzione, magari affiancando al nome parmesan il termine “american” o una bandierina a stelle e strisce, per consentire agli americani di accedere al nostro mercato come noi accediamo al loro. Il Parmigiano Reggiano – così come le altre denominazioni – è un prodotto d’eccellenza, e proprio per questa ragione non ha bisogno di essere “protetto” da concorrenti più scadenti. In questa svolta storica Meloni avrà dalla sua parte Bertinelli, che rappresenta anche la Coldiretti in quanto vicepresidente nazionale, e proprio ieri è stato riconfermato alla guida del Consorzio del Parmigiano Reggiano. Quindi ha la fiducia degli associati.