
(foto EPA)
Il dilemma della Fed, tra rischio stagflazione e assalto politico
Di fronte a dazi record imposti da Trump, la Federal reserve si trova di fronte a un bivio. In uno scenario caotico, l’indipendenza della banca centrale americana diventa cruciale da preservare
Cosa deve fare la Federal reserve in risposta ai dazi imposti dall’amministrazione Trump? In questo intervento spieghiamo perché ci aspettiamo un atteggiamento prudente della Fed, nonostante i rischi. Le politiche protezionistiche della nuova amministrazione hanno innalzato i dazi a un livello che non si vedeva da 100 anni. La Maganomics si propone come una politica economica volta a un cambio di paradigma rispetto agli equilibri degli ultimi 70 anni in diverse dimensioni, incluso il ruolo e il valore del dollaro, come ha scritto benissimo recentemente Luciano Capone su questo giornale.
Dal punto di vista teorico, i dazi sono una tassa; come tale, hanno il potenziale di generare tre esiti: (i) innalzare i prezzi per i consumatori, (ii) comprimere i margini per i produttori, importatori e distributori, oppure (iii) diminuire le quantità vendute. Nel primo caso la tassa sarebbe pagata dalle famiglie americane che vedrebbero ridursi il reddito reale. Nel secondo caso, invece, la tassa sarebbe pagata dalle imprese, sia americane sia straniere, i cui profitti diminuirebbero con conseguenze negative sugli investimenti futuri o sull’esistenza dell’impresa nei casi più estremi. Nell’ultimo caso, infine, si avrebbe una recessione e la tassa dei dazi la pagherebbero soprattutto i lavoratori licenziati.
Nella realtà tutti e tre gli effetti si materializzaranno con differenti gradi, determinando quasi sicuramente una recessione con inflazione, la cosidetta stagflazione, per gli Stati Uniti, completamente autoindotta dall’Amministrazione Trump. Non solo i dazi non sono la cura per il declino della manifattura statunitense che riflette invece tendenze di lungo periodo, ma la teoria economica suggerirebbe di tassare i beni finali piuttosto che quelli intermedi per evitare distorsioni nelle catene globali del valore. Per la Fed, quindi, lo shock è il peggiore che possa affrontare. Da un lato i dazi generano inflazione, dall’altro rallentano l’attività economica facendo rischiare una recessione. Gli analisti di Goldman Sachs prevedono un aumento della disoccupazione oltre il 5 per cento e un’inflazione sopra il 4 per cento (con scenari più inflattivi e/o più recessivi a seconda degli annunci succeduti sui dazi). Fattore già certo, invece, è che le famiglie americane, indipendentemente dall’orientamento politico, hanno già rivisto al rialzo le proprie aspettative di inflazione, arrivate ai massimi da fine anni ’80. Infine, cosa ancora più incredibile per i modi e le tempistiche, gli investitori hanno iniziato a vendere tutti gli asset denominati in dollari, con conseguente calo congiunto dei corsi azionari, obbligazionari e del dollaro stesso un fenomenoche di solito si osserva nei paesi emergenti e non per la valuta di riserva mondiale. Sebbene questo sia in parte dovuto a ragioni tecniche, l’avvenuta vendita di titoli di stato dovrebbe preoccupare l’amministrazione Usa.
La Fed ha davanti un compito difficilissimo: minimizzare gli effetti “stagflattivi” dei dazi, assicurando i mercati in caso di incidente finanziario stile Lis Truss nel Regno Unito. L’amministrazione Trump ha cambiato parere più volte in pochissimi giorni, spesso in modo spettacolare e contradditorio, su quali merci sono soggette a dazi e quali paesi sono maggiormente colpiti. Questo metodo caotico ha generato incertezza fra i consumatori, imprese e operatori finanziari. Per questa ragione, gli indicatori di incertezza economica segnano i valori più alti mai registrati. Lo stesso accade per gli indici di fiducia di consumatori e imprese che sono in forte caduta, con conseguente rinvio di consumi e investimenti. I dazi hanno avuto effetti negativi su borsa, profitti aziendali, turismo e lo avranno sui salari reali. Detto in modo semplice: nessuno era mai riuscito a generare un caos di queste dimensioni, per di più in meno di tre mesi.
In tutto questo Trump non sembra aver capito le difficoltà della Fed di fronte a questo scenario stagflattivo. Anzi, l’ennesimo nuovo post urlato del presidente Trump sulla piattaforma Truth Social aggiunge incertezza. Recita testualmente che il presidente della Fed “avrebbe dovuto abbassare i tassi di interesse, come ha fatto la Bce, molto tempo fa, ma ora dovrebbe sicuramente farlo. La rimozione di Powell non può arrivare abbastanza presto!”. Sebbene siamo avvezzi a politici che criticano i presidenti delle banche centrali, il tono è inaudito. Quindi tornando alla domanda iniziale: Cosa deve fare la banca centrale americana in risposta ai dazi di Trump? La decisione è difficile e Jerome Powell ha giustamente preso tempo per vedere i dati. Ma una cosa è chiara: l’indipendenza della Fed va difesa a tutti costi.