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Le agenzie di rating si fidano dei vecchi Pigs, anche nel caos trumpiano
I paesi ritenuti inaffidabili in passato, ora sono premiati dalla loro austerità. Tra questi c'è anche l'Italia, che ha ridotto molto il deficit, ma soprattutto Portogallo e Grecia che sono in surplus di bilancio e hanno una crescita al 2 per cento
L’ordine del commercio internazionale viene spezzato, Wall Street crolla, i rendimenti sui titoli di stato Usa si impennano, gli investitori internazionali perdono addirittura fiducia nel dollaro come valuta di riserva, la crescita globale rallenta. Per il Fondo monetario internazionale “l’economia globale è entrata in una nuova era” fatta di “tensioni commerciali ed elevata incertezza politica”. Quando arrivano scossoni del genere, come quello provocato dai dazi di Donald Trump, generalmente gli investitori internazionali scappano dai paesi a maggiore rischio per rifugiarsi nei titoli più sicuri (fly to quality), provocando problemi finanziari ai paesi emergenti e a quelli economicamente più fragili.
Ma stavolta si sta verificando un fenomeno strano, per certi versi opposto a ciò che accadde con la crisi dei debiti sovrani del 2011: in questi giorni, mentre c’è una crisi di fiducia nel debito americano, le agenzie di rating hanno premiato i paesi mediterranei una volta definiti Pigs. Standard & Poor’s, ad esempio, ha alzato il rating dell’Italia a BBB+. Ma a marzo aveva alzato il rating del Portogallo, da A- ad A, con outlook positivo (ovvero la possibilità di un ulteriore upgrade entro due anni). E pochi giorni prima dell’Italia, S&P aveva alzato il rating della Grecia portandolo a BBB, ovvero due gradini sopra la soglia junk , dove Atene è stata per 13 anni. I mercati, insomma, anche in un momento così critico, si fidano di più degli (ex) inaffidabili. Per quale ragione?
Merito dell’austerity, verrebbe da dire. Il fantasma, sempre evocato, come presagio di recessione e disoccupazione. I mercati apprezzano gli sforzi di consolidamento fiscale, in misura variabile, in tutti questi paesi. A dimostrarlo sono i dati degli istituti di statistica nazionali comunicati, proprio ieri ad Eurostat, sull’indebitamento delle amministrazioni pubbliche. Il dato più sorprendente viene proprio da Atene, fino a pochi anni fa considerata prima simbolo dei conti pubblici truccati e delle finanze pubbliche dissolute e poi vittima esemplare delle politiche di austerity della Troika.
Ebbene, ieri Elstat (l’istituto di statistica greco) ha comunicato che il 2024 si è chiuso con un avanzo primario del 4,8% (11,4 miliardi di euro). Un dato che va oltre le più rosee aspettative: il governo di centrodestra del moderato Kyriakos Mitsotakis prevedeva un avanzo primario del 2,5% e, invece, è stato quasi il doppio. Alcuni dati fiscali lasciavano immaginare un risultato migliore del previsto, che potesse avvicinare il bilancio al pareggio, ma in realtà l’anno si è chiuso con un ampio surplus di bilancio dell’1,3% del pil, che ha spinto il premier greco ad annunciare ieri misure di spesa a favore degli autonomi e dei giovani, due gruppi sociali dove è più diffuso malcontento.
Il dato più impressionante della Grecia riguarda il debito pubblico. Il 2024 si è chiuso con debito del 153,6% sul pil, oltre 10 punti in meno rispetto al 2023. Oltre 50 punti sotto al picco del 207% toccato nel 2020 con il Covid e oltre 20 punti in meno del 176,6% del 2019, anno prima della pandemia. Il debito pubblico della Grecia è previsto in continua discesa nei prossimi anni, seppure a un ritmo più contenuto. A fronte di questo forte aggiustamento fiscale non c’è stata alcuna recessione, anzi: la Grecia ha una crescita sostenuta, prevista sopra al 2% anche nel 2025. Secondo le previsioni contenute nei Piani Strutturali di Bilancio di Medio Termine inviati a Bruxelles, nel 2028 ci sarà il sorpasso: la Grecia cederà all’Italia lo scettro di paese col debito pubblico più alto d’Europa.
Il Portogallo, dal canto suo, alternando governi di sinistra e di destra, è in surplus di bilancio dal 2023, ha un debito pubblico che è già sceso sotto il 100% del pil due anni fa e mantiene una crescita invidiabile attorno al 2% del pil.
L’Italia, in questo senso, pagherà il costo del Superbonus che si scaricherà a colpi di 30-40 miliardi l’anno sul debito pubblico facendolo crescere nei prossimi anni (una delle criticità segnalate dalle agenzie di rating). Ma anche per l’Italia i dati inviati a Eurostat sono indicativi. Nella nota, l’Istat segnala che nel 2024 il deficit si è ridotto di 78,7 miliardi (passando dal 7,2% al 3,4%), ma l’aggiustamento è più consistente se si considera il solo saldo primario: 86,1 miliardi. Quasi tutto l’aggiustamento fiscale è dovuto alla fine del Superbonus, ma questo non ha avuto alcun impatto sulla crescita economica che nel 2024 è stata pari allo 0,7% del pil, esattamente come nel 2023. In pratica, il Superbonus aveva un moltiplicatore pari a zero se non addirittura negativo.
Insomma, l’austerità non è per forza nemica della crescita, anzi, se fatta nelle fasi di espansione la sostiene e prepara l’economia a resistere agli shock avversi, che dal Covid all’invasione dell’Ucraina fino alla guerra commercialormai si presentano in cicli ravvicinati. Se solo l’Italia, anziché macinare deficit dell’8-9 per cento per quattro anni, avesse intrapreso prima e con più convinzione il sentiero del consolidamento fiscale, ora rivendicato dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, si sarebbe trovata meglio attrezzata di fronte al ciclone Trump.



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