
(foto EPA)
buenos aires
La banalità del cambio variabile è una rivoluzione per l'Argentina
Liberalizzazione del cambio in Argentina: il peso torna a fluttuare liberamente. Milei punta alla stabilità con l'appoggio del FMI e una strategia che ricorda il passato ma promette un futuro diverso
L’Argentina è tornata ad avere un tasso di cambio variabile:adesso è il mercato a stabilire il valore del peso argentino. Non è un nuovo atto del cosiddetto neoliberismo economico di Javier Milei ma un ulteriore passo verso la normalizzazione dell’economia argentina.
La notizia sembrerebbe anche poco degna di attenzione. D’altronde, cosa importa del tasso di cambio se i veri problemi dell’Argentina sono l’inflazione, la povertà e la crescita economica? Secondo lo stesso ragionamento, la vera notizia sarebbe che, per liberalizzare il tasso di cambio l’Argentina, ha contratto un ulteriore debito di 20 miliardi di dollari con il Fmi. Che si sommano ai 40 miliardi già sottoscritti da Mauricio Macri. Altro che motosega, Milei sta indebitando il paese. Per di più con il Fmi. A breve scoppia una nuova crisi come il 2001.
In realtà la notizia della liberalizzazione del tasso di cambio è una notizia fondamentale per un paese che da decenni ha un rapporto complicato con il dollaro e, soprattutto, con la propria moneta. Durante gli anni ’90 il governo di Menem stabilì, attraverso la legge della convertibilità, la parità: un peso argentino, un dollaro. La piena convertibilità tra le due monete invogliò gli argentini a convertire in dollari i propri risparmi in peso. L’errore politico ed economico di Menem fu però quello di non arrivare al pareggio di bilancio né concedere una graduale svalutazione del peso. Più la pressione sul tasso di cambio aumentava più l’equivalenza tra le due monete divenne una bandiera politica. Fino alla crisi che scoppiò durante la presidenza di De la Rúa nel 2001. In pochi giorni il peso perse due terzi del proprio valore nei confronti del dollaro. I conti correnti in dollari furono poi convertiti in pesos al nuovo tasso di cambio generando perdite per tutti i correntisti.
Da quel momento il peso è stato per gli argentini la moneta del consumo. Ancor di più per via dell’inflazione. Tenere il peso nel portafoglio equivaleva ad accettare una perdita di valore: bisognava consumarlo immediatamente o convertirlo al dollaro e conservarlo cash in casa o all’estero.
Ma per i governi peronisti era impossibile accettare l’idea che el pueblo decidesse vendere la propria moneta nazionale e cercare rifugio nel dollaro. Per evitare fughe di capitali e ulteriori svalutazioni del peso, il prezzo del peso doveva essere fisso e stabilito dal governo. O meglio, i prezzi del dollaro dovevano essere stabiliti dal governo perché, durante gli ultimi mesi del governo di Alberto Fernández, l’Argentina aveva circa venti tassi di cambio diversi per il dollaro. Esisteva il dollaro Qatar per chi voleva andare a vedere i mondiali del 2022, il dollaro Coldplay per attirare gli artisti internazionali in Argentina, il dollaro agro per convertire le vendite in dollari dei produttori agricoli e così via.
Ma soprattutto esisteva il dollaro ufficiale a cui il governo era disposto a comprare e il dollaro parallelo a cui lo faceva il mercato. Alla fine della presidenza Fernández il dollaro ufficiale valeva 360 pesos ma nel mercato parallelo veniva scambiato a oltre 1.000. Un prezzo triplo che generava distorsioni in tutta l’economia, dai piccoli risparmiatori alle grandi multinazionali. L’accordo con il Fmi diventa così un tassello fondamentale della presidenza di Milei. Il tasso di cambio fisso viene liberalizzato e i 20 miliardi ottenuti vengono utilizzati per ricapitalizzare le riserve della Banca centrale dilapidate dai governi kirchneristi. La banca centrale interverrà così nel mercato valutario solo nel caso in cui il prezzo del dollaro esca fuori dalla fascia tra 1.000 e 1.400 pesos. La vera scommessa di Milei è però che le riserve non verranno usate. L’importante è aver avvisato il mercato che la Banca centrale, avendo i fondi del Fmi, farà whatever it takes per difendere il peso e ciò basterà ad evitare attacchi speculativi. Ma soprattutto, il mercato sa che, a differenza di Menem, il governo di Milei garantirà un pareggio di bilancio e che il peso argentino sarà libero di oscillare in una banda sempre più ampia.
Nei primi giorni di liberalizzazione del cambio, la Banca centrale non è intervenuta nel mercato e la temuta svalutazione non si è materializzata.