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barriere economiche
Non solo Trump: ecco i dazi che ci imponiamo da soli. Come ridurli
Semplificare le procedure, garantire concorrenza, ridurre i tempi della giustizia: la crescita non dipende da Bruxelles o dall’euro, ma dalle scelte che facciamo a casa nostra
Come ridurre gli ostacoli alla crescita economica, cioè gli autodazi che abbiamo scelto di imporci da soli, in Europa e in Italia? Per prima cosa, occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci, per concentrarsi su alcuni obiettivi realistici e monitorarne la realizzazione.
Cominciando dall’Europa, sbarazziamoci subito del falso problema additato dai populisti, soprattutto dopo la crisi del 2008, cioè che la modesta crescita italiana sia dovuta alla moneta europea. L’euro è un’ottima moneta; è stabile, anche perché è retta da una banca centrale indipendente, non esposta alle tensioni che incombono sulla Fed americana; ha consentito di eliminare costi di transazione e oneri occulti. Bisogna, invece, semplificare la normativa dell’Ue, stimolare la competitività e promuovere ulteriormente gli investimenti. Alla fine di febbraio la Commissione ha adottato un nuovo pacchetto di proposte per ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese di almeno il 25 per cento e quelli per le piccole e medie imprese del 35 per cento. Ha stimato che ciò consenta di far risparmiare più di 6 miliardi di euro e di facilitare investimenti pubblici e privati. Il 14 aprile il Consiglio ha approvato alcune di queste proposte, rinviando le date di applicazione di alcuni obblighi relativi alla rendicontazione delle società e al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. Tutti questi passi vanno nella giusta direzione. Ma occorre fare di più, seguendo le indicazioni del rapporto Draghi. Il governo italiano può dare un contributo prezioso, spronando la Commissione e favorendo gli accordi all’interno del Consiglio.
Nel frattempo, non è poco quel che esso può fare nell’ambito nazionale. Può utilmente proseguire la semplificazione dei procedimenti amministrativi avviata trent’anni fa dal governo Ciampi, per esempio riprendendo l’originaria vocazione della legge sul procedimento amministrativo, una legge civile approvata dal Parlamento nel 1990 e da allora sottoposta a varie modifiche, non ben coordinate. Ma è soprattutto necessario intervenire su altri tre problemi che da allora si sono notevolmente aggravati, frenando la crescita economica e civile dell’Italia. Il primo riguarda il complicato intrico di competenze che richiede l’intervento di più istituzioni per una serie di atti e di prestazioni. Per porre rimedio a questo problema, bisogna individuare un unico soggetto responsabile per il conseguimento di un determinato obiettivo, per esempio la gestione dei rifiuti, come si è fatto in Francia con apprezzabili risultati. Il secondo problema riguarda la cornice giuridica delle attività imprenditoriali. Servono interventi lungimiranti per incrementare la concorrenza. Per esempio, l’Autorità antitrust ha suggerito di introdurre controlli più efficaci sull’erogazione dei servizi pubblici da parte degli enti locali. Il Parlamento farebbe bene a raccogliere senza indugio il suggerimento, legiferando.
Il terzo problema è il contenzioso giudiziario. Mentre i giudici amministrativi hanno velocizzato la gestione dei ricorsi avvicinandosi alla media europea, la relazione presentata dalla Corte di Cassazione due mesi fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha constatato che i tempi di risoluzione del contenzioso civile nel primo grado non hanno ancora raggiunto il target fissato dal Pnrr. Ogni ulteriore intervento per ridurre i tempi sarebbe prezioso, unitamente a una maggiore prevedibilità dell’esito delle liti. Non solo per gli investitori esteri è difficile comprendere perché una sezione della Suprema corte possa dissentire dalle pronunce delle sezioni riunite, segnatamente nell’ambito tributario, e perché il Parlamento non assicuri la chiarezza e coerenza delle proprie leggi.


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