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Il compromesso
Ridurre le barriere non tariffarie Usa-Ue per evitare una guerra commerciale
Invece di tassare i giganti digitali e comprare più armi e gas americani, rivedere alcune nostre restrizioni verso gli Stati Uniti in modo selettivo e trasparente (e senza svendere l’interesse europeo) potrebbe essere la migliore leva diplomatica per proteggerci dai troppi dazi
Per anni parlare apertamente di dazi è stato quasi una bestemmia nel tempio del libero scambio. Le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (World trade organization - Wto) e il clima politico scoraggiavano ogni forma di protezionismo esplicito. Ma la favola secondo cui gli stati avevano smesso di proteggere i propri mercati non ha mai retto. La protezione c’era eccome, solo che si esercitava sottotraccia: non con i dazi, ma con le non-tariff barriers – le barriere non tariffarie. Negli anni 2000 mentre i dazi scendevano, le barriere non tariffarie salivano e oggi si contano a centinaia nel commercio bilaterale Usa-Ue e Usa-Cina.
Gli Stati Uniti sono stati maestri nell’uso di standard tecnici, norme sanitarie e requisiti di certificazione che rendevano difficile importare certi beni. Lo facevano soprattutto per proteggere i prodotti degli swing state, gli stati in bilico nelle elezioni presidenziali. Anche l’Europa ha fatto lo stesso: basti pensare al divieto di importazione della carne trattata con ormoni, alle norme sull’etichettatura o alle restrizioni su alcuni cosmetici e farmaci americani. Poi è arrivato Donald Trump, e ha messo dazi espliciti su acciaio, alluminio, auto e beni strategici. Ora è pronto a introdurre un dazio generalizzato del 10 per cento (minimo) su tutte le importazioni. L’Europa ha due scelte: reagire o cedere.
Reagire significa colpire le esportazioni Usa in settori politicamente sensibili. Un dataset che incrocia i flussi commerciali con il peso politico degli stati esportatori rivela che oltre metà delle esportazioni americane verso l’Europa riguarda beni fossili o industriali: gas liquido, petrolio, componenti per l’aviazione, macchinari. Settori concentrati in stati decisivi come Pennsylvania, Georgia, Arizona e North Carolina. Colpire con dazi selettivi il gas naturale liquefatto (Gnl), i motori per aerei o i componenti industriali potrebbe avere impatti politici significativi alle prossime elezioni Usa. Ci sono però delle controindicazioni serie, per esempio tassare il Gnl sarebbe autolesionistico perché ci serve.
Un’alternativa è tassare i giganti digitali con una digital tax o colpire i servizi finanziari. Ma è difficile: la digital tax è ancora oggetto di negoziati internazionali, mentre tassare i servizi finanziari può violare regole Wto e scatenare ritorsioni. Una seconda via è l’accomodamento. Cedere qualcosa per evitare una guerra commerciale a tutto campo. Significa comprare più armi e gas americani. Ma questo compromesso ha un costo strategico: meno autonomia militare — perché si dipende dalla difesa Usa — e meno autonomia energetica. E’ un paradosso: Washington ci chiede più indipendenza militare, ma ci impone di comprare proprio le armi da cui dovremmo emanciparci. Sulle forniture belliche e il Gnl la dipendenza è in parte inevitabile, basta che non sia troppo lunga e non impedisca la costruzione di un’autonomia europea.
C’è però una terza via, forse la migliore: usare la crisi per negoziare ciò che Obama cercò con il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Un accordo per ridurre tutte le barriere, anche quelle non tariffarie, al commercio bilaterale. Rivedere alcune nostre restrizioni – senza svendere l’interesse europeo – può essere il compromesso utile per evitare una guerra dei dazi.
Qualche esempio concreto? Il National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers Rappresentante per il Commercio degli Usa (Ustr) elenca centinaia di barriere europee. In ambito sanitario, l’Ue limita l’importazione di dispositivi medici rigenerati o ricondizionati, anche se identici a quelli nuovi. Sono escluse anche tecnologie diagnostiche Usa non conformi a certificazioni europee (come certi test per patologie rare). Nei cosmetici, vengono bloccati prodotti contenenti filtri solari approvati dall’americana Fda ma non riconosciuti dall’europea Ema. E nei farmaci, l’Ema richiede studi clinici addizionali per prodotti già autorizzati in America, scoraggiandone l’ingresso.
Rimuovere alcune di queste barriere, in modo selettivo e trasparente, potrebbe essere una leva diplomatica importante. Alla fine passeremmo da un mondo con zero dazi e molte non-tariff barrier a uno con un po’ più dazi e un po’ meno barriere regolamentari, con all’incirca lo stesso livello di “protezionismo” di prima. Un second best, certo, ma meglio di una guerra commerciale.