Editoriali
Tradire balneari e taxi, o bruciare 20 miliardi dell'Ue. La scelta di Giorgia Meloni
Concorrenza o coerenza? Se prendesse le redini del prossimo governo, la leader di FdI potrebbe bloccare il processo di attuazione della legge richiesta dal Pnrr. Ma questo significherebbe anche rinunciare alle risorse di Bruxelles
Siccome sulla volontà di modificare il Pnrr continua a insistere, Giorgia Meloni, tocca forse cominciare a crederle. “Si può fare”, dice. “Si deve fare”. E siccome della coerenza fa la sua bandiera, la leader di FdI, bisogna pensare che il programma di riforme concordato da Draghi con Bruxelles inizierebbe a smontarlo dai punti che ha già contestato. Il ddl Concorrenza, ad esempio, che è forse il capitolo più importante di questo semestre. Il Cdm lo ha licenziato da mesi, e anche le Camere si sono espresse, dopo un iter alquanto tribolato. Ora, però, vanno varati i decreti attuativi, perché è solo dopo la loro definitiva approvazione che la Commissione europea riterrà completato l’obiettivo, e accetterà di erogare i finanziamenti correlati. Ma in Parlamento FdI ha sempre votato contro al ddl Concorrenza.
Poco prima che il governo Draghi venisse fatto cadere, al Senato i meloniani rinfacciarono addirittura alla Lega di essere troppo pavida, nel voler proporre correzioni al provvedimento anziché risolversi a bocciarne intere parti. Alla Camera, a fine luglio, la truppa di FdI si ritrovò insieme agli ex grillini antieuropeisti e filoputiniani di Alternativa a bocciare il ddl: sempre dalla parte dei poveri balneari vessati dai burocrati di Bruxelles in combutta con le multinazionali, sempre al fianco dei tassisti schiacciati dal globalismo liberista di Uber. E dunque, adesso che le redini del governo potrebbe prenderle in mano lei, Meloni avrebbe un modo facile per perseguire nella sua battaglia contro il ddl Concorrenza: le basterebbe non fare nulla, bloccare il processo di attuazione della legge e, semplicemente, lasciarla impantanare tra i cassetti di Palazzo Chigi. La coerenza della Meloni sarebbe così salva. Anche se costerebbe oltre 20 miliardi di euro, quelli che l’Italia dovrebbe ricevere da Bruxelles.