Renzi tesse con Al Sisi, ma hanno piani diversi sulla Libia
Roma. Ieri, tre ore dopo l’atterraggio e subito dopo aver parlato al Forum economico di Sharm el Sheikh, il premier italiano Matteo Renzi si è chiuso in una stanza con il presidente Abdel Fattah al Sisi per un incontro di un’ora, il secondo in pochi mesi (Sisi era venuto in Italia a novembre). “Sosteniamo l’Egitto nella lotta al terrorismo e per la soluzione politica in Libia”, aveva detto alla platea, ma le due cose non sono esattamente così appaiate come sembrano. L’Egitto considera la lotta al terrorismo una certezza assoluta (ma ha una definizione sua di terrorismo) e la soluzione politica a Tripoli una proposta vaga – se non da rigettare per principio. Quindi c’è da convincere il presidente egiziano ad aderire alla linea proposta da Renzi sulla Libia e ancora non si sa se è possibile. E come ripete Federica Mogherini, capo della diplomazia europea anche lei in prima fila al Forum, il tempo sta scadendo, l’accordo va fatto “in giorni, non settimane”.
Ci sono (almeno) due piani sul futuro della Libia in competizione. Uno potrebbe essere chiamato piano Matteo Renzi–Bernardino León, dai nomi del presidente del Consiglio e dello spagnolo inviato speciale per la Libia delle Nazioni Unite. Consiste in questo: il Parlamento di Tripoli, di tendenza islamista e che controlla la Tripolitania, deve riconciliarsi con il Parlamento di Tobruk, quello che generalmente è riconosciuto anche in campo internazionale e che controlla la Cirenaica; dev’essere nominato un premier di Tobruk affiancato però da alcuni vice di Tripoli per mantenere un sistema di check and balances e di equilibrio fra le parti. Una volta raggiunta la riconciliazione nazionale e ritrovata l’unità d’intenti soprattutto attorno all’estrazione di greggio e ai suoi profitti, cominceranno le operazioni contro lo Stato islamico, che invece ora sguazza a suo agio nel caos libico ed è ancora a una fase minore, embrionale del suo arco evolutivo – non è quel predatore sviluppato che ha preso un terzo della Siria e dell’Iraq.
L’altro piano è quello Haftar-Sisi, dai nomi del comandante in capo dell’esercito libico che sta a Tobruk e del presidente egiziano (ma ancora generale dentro) Abdel Fattah al Sisi. Haftar e Sisi a fare la pace con il Parlamento di Tripoli e le sue milizie raccolte sotto il nome di Alba libica non ci pensano nemmeno, stando a quello che dicono. L’unica cosa che vogliono è che le Nazioni Unite sollevino l’embargo che blocca l’arrivo di armi in Libia (ufficialmente, perché la settimana scorsa un italiano è stato arrestato a Tunisi mentre trattava un carico d’armi definito “enorme” con partner libici). Haftar ha detto che l’Italia deve spingere le Nazioni Unite a sollevare l’embargo, “perché le armi ci serviranno contro il Califfato” e agita anche il problema immigrazione, “quando avremo il controllo del paese, solo allora, ristabiliremo gli accordi sull’immigrazione” e lancia un messaggio vagamente ricattatorio sull’energia. “Ci ricorderemo di chi è stato dalla nostra parte”. Con Haftar c’è l’Egitto, che preme per la fine dell’embargo e anche la Russia. L’Egitto ha per gli islamisti di Tripoli ha la stessa considerazione che ha per la Fratellanza musulmana. Non si tratta con loro, li si combatte. Poi c’è Mosca, dove Renzi è appena stato in missione. Il ministro degli Esteri russo il 10 marzo ha detto di essere a favore della fine dell’embargo per armare Haftar. Secondo il sito del giornale Libya Herald, i russi già fanno passare artiglieria attraverso il valico egiziano di Salloum in violazione dell’embargo Onu.
Nota bene: se anche volesse buttarsi a corpo morto con il piano Sisi-Haftar, Renzi non potrebbe, perché gli impianti Eni stanno a ovest, in Tripolitania, vale a dire nella parte controllata dai nemici di Haftar-Sisi. Finora l’Italia ha cercato di muoversi come in un minuetto danzato, se prendesse le parti di Tobruk metterebbe a repentaglio i suoi interessi energetici.
[**Video_box_2**]Riconciliazione nazionale quindi contro campagna totale anti islamista – senza far caso alle varie tonalità, tra la Fratellanza musulmana e lo Stato islamico. La competizione tra i due piani sta generando un traffico vorticoso di incontri diplomatici. Renzi è a Sharm per riparlare con Sisi, doveva parlare con il Kuwait ma l’incontro è saltato e aveva in programma anche un faccia a faccia con gli Emirati arabi uniti – che sono schierati con l’Egitto sulla questione libica. Due giorni fa ha incontrato León, che intanto è andato a seguire i negoziati di Rabat con l’ex ambasciatore italiano in Libia, Goffredo Buccino. Lunedì si dice che Haftar nuovo uomo forte di Tripoli volerà a Mosca, per saldare l’asse tra Tobruk, il Cairo e Putin. Del resto il suo superiore cicile, il premier Abdullah al Thani, era già stato a Mosca a fine febbraio sempre con la stessa richiesta: eliminare l’embargo Onu e altre forniture di armi, non necessariamente in quest’ordine.
Il generale invoca la Nato
Renzi non tradisce questa differenza di vedute con Sisi in pubblico, anzi spinge sul pedale dell’assoluta condivisione d’intenti: “La sfida dell’Egitto è anche la nostra sfida, la sua stabilità è anche la nostra stabilità. Rinnovo il mio impegno nel collaborare con voi e tutti gli attori internazionali per poter uscire dalla crisi libica”, ha detto ieri al Forum. Renzi ha detto di apprezzare “la leadership e la saggezza di Abdel Fattah al Sisi, soprattutto per quanto riguarda la Libia. Sosteniamo la sua visione, la sua lotta alla corruzione e il suo lavoro per la stabilità dell’Egitto. Questo vale anche per la crisi libica e siriana”.
Ieri sul Washington Post l’ex comandante delle forze Nato nel 2011 (quindi al momento delle operazioni in Libia), l’ammiraglio americano James Stavridis, ha scritto che contro lo Stato islamico in Libia l’Italia dovrebbe appellarsi al titolo IV del Trattato atlantico, che impegna gli stati alleati a soccorrere militarmente un membro quando è in pericolo.
Il Forum di Sharm el Sheikh è stato una buona occasione di incontro con Al Sisi sulla Libia, ma ci sono interessi corposi per possibili investimenti italiani. C’è un progetto per allargare il Canale di Suez che vale otto miliardi di dollari.