“L'islam pagherà caro se continuerà ad apparire violento e razzista”. Intervista a Ben Ammar
Roma. Prima dell’impatto politico sulla Tunisia e prima ancora delle conseguenze economiche in un paese che con il turismo si arricchisce, l’attentato di mercoledì a Tunisi presenterà il suo pedaggio all’islam stesso: “La nostra religione pagherà il prezzo più alto se continuerà ad apparire come una fede violenta e razzista”. Così la pensa Tarak Ben Ammar, imprenditore tunisino, produttore cinematografico e con attività importanti in Europa, fra le altre cose consigliere di Vivendi, Telecom Italia e Mediobanca. Il Foglio lo ha raggiunto mentre rientrava in Francia dal nostro paese, subito dopo aver partecipato al cda di Telecom. Perché oggi il terrorismo colpisce la Tunisia? “A dire il vero, come dimostrano le vicende irachene, siriane, francesi e danesi, non c’è nessuno che sia risparmiato – dice – Dopodiché, dal punto di vista dei terroristi, ci può essere un valore aggiunto nell’aggredire l’unico paese della sponda sud del Mediterraneo che sta costruendo una democrazia”. Usa il gerundio, Ben Ammar, perché “la democrazia è un processo di costruzione permanente, perfino in Italia mi pare”.
A Tunisi, dopo la svolta del 2011 e l’eclissi del potere di Ben Ali, “abbiamo avuto in sequenza: elezioni parlamentari democratiche, elezioni presidenziali democratiche e oggi un governo di coalizione. E’ ovvio che ora siamo un obiettivo”. Intanto però almeno 3.000 cittadini tunisini sono andati a ingrossare le fila dei “foreign fighters” in Iraq e Siria sotto le insegne di Califfo e affini: “Non li giustifico – dice Ben Ammar – però ritengo che molti di loro fossero partiti per quella che ritenevano una battaglia di libertà, salvo essere ingannati da un uso improprio della fede islamica”. Se all’imprenditore tunisino si chiede se l’islam sia compatibile con democrazia e società aperta, la sua risposta è “certamente sì. Religione e società moderna non si escludono a vicenda. Cristiani ed ebrei sono religiosi ma vivono in democrazia. La guerra in corso è innanzitutto interna al mondo islamico”. Ben Ammar riconosce che la separazione tra potere politico e religioso nei paesi islamici sia ancora di là da venire: “I califfi che vennero dopo Maometto erano allo stesso tempo leader politici e religiosi. E qui torno alla Tunisia come obiettivo prediletto dei fanatici. Soltanto due leader dell’area hanno tentato negli ultimi decenni di affermare veramente un’idea politica di stato. Atatürk, in Turchia, e Bourguiba in Tunisia. Quest’ultimo diceva: ‘Siamo prima tunisini e siamo anche musulmani, con fratelli ebrei e cristiani’”. Ben Ammar allude alle lunghe guerre per la secolarizzazione in Europa e dice: “Ora le classi dirigenti dei nostri paesi, a partire da quelle religiose, devono sedersi a spiegare alle nuove generazioni che questa violenza non ha nulla a che fare con l’islam”. Veramente lo stesso presidente egiziano al Sisi, in un celebre discorso all’Università al Azhar del Cairo, ha detto che l’islam c’entra eccome: “Vero, nel senso che occorre una riforma interna alla nostra religione. Così che i nostri genitori non lascino più intendere ai loro figli che la democrazia è sinonimo di eccessi e corruzione”.
[**Video_box_2**]Affranto per quanto accaduto, Ben Ammar si dice “fiducioso” sulla reazione del suo paese natale: “L’occidente nel 2011 coniò il termine troppo romantico di ‘primavere arabe’. In realtà furono ribellioni, dagli esiti incerti. Oggi l’attentato ha ricompattato il popolo tunisino. Il muro della paura, caduto nel 2011, non sarà ricostruito, nemmeno sotto la pressione dei fanatici religiosi”. Lo dice, Ben Ammar, raccontando della libertà di tono della sua rete televisiva Nessma, la prima privata del paese: “Talmente libera che un nostro avvocato, Chokri Belaïd, fu assassinato nel 2013 dopo che la sera prima era intervenuto in tv per respingere le accuse di blasfemia contro Nessma solo perché aveva trasmesso il film ‘Persepolis’”. L’occidente cosa può fare? “Pure nel suo interesse, sostenere il processo democratico in Tunisia e la sua ripresa economica – conclude Ben Ammar – Perché Renzi, al prossimo G20, non ricorda ai colleghi la promessa di aiuti alla Tunisia per 20 miliardi di dollari fatta quattro anni fa?”.